No ai Bitcoin ma sì ai Dogecoin. Cosa c’è dietro la scelta ambientalista di Musk di abbandonare la prima criptovaluta

Il secondo uomo più ricco del mondo ha scaricato i Bitcoin: per lui inquinano troppo. E ora all’orizzonte c’è una nuova criptovaluta

Che le criptovalute fossero soggette a grandi fluttuazioni lo sapevamo da tempo, che queste fluttazioni potessero dipendere dai tweet di Elon Musk lo abbiamo imparato negli ultimi mesi. Il secondo uomo più ricco del mondo (151 miliardi di dollari di patrimonio, secondo Forbes) ha pubblicato un tweet in cui annuncia l’abbandono dei Bitcoin. Il problema è l’ambiente: «Siamo preoccupati per il rapido aumento dell’uso di combustibili fossili per l’estrazione e le transazioni di bitcoin, in particolare di carbone». L’effetto è immediato: la criptovaluta è crollata in poche ore di quasi il 20%, arrivando a un minimo di 41.697 euro.


Male, ma non certo una tragedia. Bitcoin arriva da un periodo di crescita senza precedenti nella sua storia. A settembre 2020 la sua valutazione era ancora sotto i 10 mila euro, nel mese di marzo, dopo una cavalcata quasi verticale, era arrivata a quasi 50 mila euro. In mezzo a questa crescita Marco Amadori, uno dei primi investitori italiani di Bitcoin, ci aveva spiegato che il motivo di queste fluttuazioni era legato all’ingresso degli investitori istituzionali: «In questo momento sono interessati ai Bitcoin anche gli investitori istituzionali e quindi è normale che ci sia più richiesta. Un’oscillazione di questo tipo, al momento, non fa grande differenza. Ci sarà un calo per riequilibrarla».


Quanta energia ci vuole per minare i Bitcoin?

I Bitcoin non si creano dal nulla. Esattamente come le monete fisiche hanno bisogno di zecche che si occupano di crearli. Nello specifico si tratta di computer che utilizzano schede video con grande capacità di calcolo, miniere di bit che impiegano grandi quantità di energia per funzionare. Ed è proprio qui che nasce la questione ambientale legata alle criptovalute. Secondo il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI), le attività di mining legate alle criptovalute hanno bisogno di 120 terawattora all’anno. In pratica il consumo dell’Argentina.

I veri protetti di Musk: i Dogecoin

Il veto di Musk non è su tutte le criptovalute. Da mesi infatti il fondatore di Tesla sta promuovendo sui social un’altra valuta digitale: i Dogecoin. Nata nel 2013, questa valuta funziona sempre con la blockchain e il suo sistema di estrazione si basa sulle stesse dinamiche dei Bitcoin. All’inzio era poco più che un meme, una moneta virtuale che aveva come simbolo il muso di una cane di razza Shiba Inu, ora è la quarta criptovaluta più importante al mondo con una capitalizzazione di circa 68 miliardi di dollari.

Al momento i Dogecoin sono una delle valute più redditizie da minare, anche per chi non ha a disposizione mezzi potenti. Anche la loro crescita si sta impennando, grazie anche alle continue citazioni di Elon Musk. Non ultima quella del 10 maggio. Sempre su Twitter ha annunciato che la sua SpaceX lancerà sullo spazio il satellite Doge – 1. Un progetto che secondo Musk permetterà all’uomo di vedere il «primo meme nello spazio». Sembra il titolo di un film indie da presentare al Sundance Film Festival. E in effetti c’è anche la sigla, ve la lasciamo qui.

YOUTUBE | La sigla per lanciare i Dogecoin nello Spazio

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