Addio alla moratoria, riprende la caccia (illegale) di balene in Giappone
Il governo giapponese ha annunciato la decisione di riprendere la caccia commerciale alle balene dal 1 luglio 2019, sottraendosi agli accordi internazionali che tutelano le specie protette. Ma perché dovremmo interessarci a ciò che fanno i pescatori giapponesi, visto che in Europa (tranne che in Norvegia e in Islanda) le balene non si mangiano e la caccia è illegale? Cosa distingue i più grandi mammiferi del mare dalle altre specie di animali che consumiamo regolarmente a tavola?
La risposta non è semplicemente che le balene sono degli animali eccezionalmente intelligenti, dotati di una vera e propria cultura, una capacità di elaborare e comunicare informazioni socialmente acquisite, non geneticamente ereditate. Ma che sono specie in via d’estinzione e la loro scomparsa rappresenterebbe un duro colpo per la bio-diversità del nostro pianeta. Nonostante la caccia alle balene in Antartide sia stata bandita nel 1964, il numero di balene blu si è ridotto a un decimo, da 20mila esemplari a soltanto 2mila.
Il problema assume una dimensione preoccupante se visto nel suo giusto contesto globale. La graduale scomparsa delle balene è soltanto il più recente episodio in quella che gli scienziati chiamano la ‘sesta estinzione di massa‘. A differenza delle prime cinque, a causarla sono le azioni degli essere umani, dall’inquinamento alla pesca eccessiva.
Un rapporto Onu presentato al recente summit sul clima a Katowice in Polonia ci ha “ricordato” che abbiamo circa 12 anni per evitare che la temperatura della superficie terrestre aumenti oltre ai 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, evitando così dei cambiamenti climatici che potrebbero essere drammatici per il pianeta. Proteggere la bio-diversità è anche un modo per arginare alcuni degli effetti peggiori legati al cambiamento climatico, dall’inquinamento marino al controllo delle specie infestanti.
Dalla ‘pesca scientifica’ alla pesca illegale
La caccia ai più grandi mammiferi del mare è stata bandita nel 1986 dalla Commissione Internazionale per la caccia alle balene con l’obiettivo di tutelare alcune specie a rischio estinzione. Attualmente soltanto la Norvegia e l’Islanda la praticano, giustificandola in base alla tradizione, alla consumazione da parte dei turisti e a una teoria poco accreditata secondo cui le balene mangerebbero troppi pesci, facendo competizione agli uomini.
In Giappone le motivazioni culturali non sono giustificate dai consumi di carne di balena, da anni in diminuzione. All’inizio degli anni ’60 i giapponesi mangiavano circa 233mila tonnellate di carne di balena all’anno. Nel 2016, il totale era appena di 3mila tonnellate. Secondo il governo giapponese il presente accordo avrebbe favorito troppo le attività di conservazione delle balene senza creare un sistema adeguato per la regolamentazione della pesca.
Nonostante la moratoria, il Giappone ha continuato a cacciare balene, ufficialmente per ragioni scientifiche. Negli ultimi anni ha potuto sfruttare una quota annuale di 333 balene minke in Antartide, come l’Islanda e la Norvegia. In futuro non potrà più godere di questo diritto e la pesca di balene dovrà essere limitata alle proprie acque internazionali, ovvero nei dintorni del Giappone. Nonostante fosse legale, la pesca in Antartide veniva regolarmente ostacolata dagli attivisti della Ong Sea Shepherd.
Anche questa volta la reazione degli attivisti non si è fatta attendere. Il direttore di Greenpeace Giappone ha commentato cosi: «La decisione del governo è in contrasto con la comunità internazionale, nonché con le protezioni necessarie per salvaguardare il futuro dei nostri oceani e di queste creature meravigliose. Nel suo ruolo di presidenza del G20 nel 2019, auspichiamo che il Giappone sottoscriva nuovamente la moratoria della Commissione Internazionale per la caccia alle balene e introduca nuove misure per la conservazione marina».