Garanzia giovani, uno strumento ancora incompleto – L’analisi
Il piano Garanzia Giovani, lanciato in Italia a maggio 2014, voleva offrire agli under 29 italiani la possibilità di riattivarsi per entrare nel mercato del lavoro. Una “garanzia” per i giovani. Il piano europeo era ambizioso fin nel nome e soprattutto nelle risorse stanziate, in tutto circa 2,5 miliardi. Il piano è ancora in corso, basta andare in un centro per l’impiego per iscriversi (a questo link è possibile trovare quello più vicino), ma non sono pochi i dubbi che continua sollevare.
Dare una garanzia ai giovani significava promettergli un lavoro, ma prima ancora dire loro che non erano soli, che c’era qualcuno, in questo caso lo Stato, che si sarebbe fatto carico delle loro difficoltà. E a questa promessa di garanzia hanno risposto in tanti, quasi 1,3 milioni di under 29 secondo gli ultimi dati disponibili aggiornati al 30 ottobre 2018. Tra questi circa un milione è stato “preso in carico”, si è quindi recato in un centro per l’impiego ed è stato profilato.
Sono invece 542mila quelli che, dopo la presa in carico, hanno iniziato una delle diverse misure di politica attiva possibili grazie al piano (incentivo per assunzione, tirocinio, auto-impiego, formazione ecc.). Il 40% di quelli iscritti, per il 60% ancora niente da fare. Senza considerare che i giovani NEET sono oggi in Italia poco più di due milioni. Solo il 25% quindi a oggi ha avuto la sua garanzia. Nel frattempo però, ironia del destino o impegno dei ragazzi, il 29% dei presi in carico ha trovato autonomamente lavoro nel mentre che aspettava una proposta.
Ecco quali sono le vere criticità di questo piano e, più in generale, delle condizioni di molti giovani nel mercato del lavoro in Italia.
Poca formazione
Il 59,3% delle misure avviate riguardano tirocini, il 23% gli incentivi alle assunzioni e solo il 12,7% la formazione. Un dato che appare subito anomalo se confrontato con gli altri Paesi europei nei quali i fondi di Garanzia Giovani sono stati investiti solo in una piccola parte per i tirocini.
Al contrario in Italia, secondo l’ultimo rapporto della Corte dei Conti, al 31 dicembre 2016 erano 670 milioni di euro quelli spesi per i tirocini, circa il 65% delle risorse disponibili. Ma potrebbe essere stata una scelta originale, che investiva su uno strumento che nel nostro Paese funziona particolarmente bene e sul quale era opportuno allocare risorse.
Purtroppo non è così, per almeno due ragioni. Innanzitutto la qualità dei lavori proposti attraverso i tirocini: richieste di stagisti con esperienza, annunci palesemente illeciti con richiesta esplicita di profili maschili o femminili, lavori dei quali è difficile individuare il contenuto formativo. Per non parlare poi dei risultati occupazionali dopo il tirocinio.
I dati
Gli ultimi report Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) sull’andamento di Garanzia Giovani hanno smesso di riportare dati a riguardo ma dai numeri disponibili sappiamo che l’inserimento immediato dopo il tirocinio avviene solo nel 25% dei casi, più alto (41%) il dato generale di coloro che dopo un mese dalla conclusione di una misura offerta hanno un lavoro.
L’esempio di Garanzia Giovani, che pure ha portato anche risultati positivi come la modernizzazione delle politiche del lavoro di alcune regioni è indicativo delle difficili condizioni d’accesso nel mercato del lavoro. E pone sul banco degli imputati un accusato in particolare: il tirocinio.
Troppo spesso infatti negli ultimi anni si è fatto ricorso a questo strumento anche per molti lavori per i quali un vero e proprio contratto sarebbe andato benissimo. Con tutte le conseguenze che i giovani conoscono bene: nessun contributo previdenziale e una retribuzione che difficilmente supera i 500 euro al mese.
Scelta legittima delle imprese, soprattutto in una fase di crisi che perdura. Ma che lo Stato abbia prodotto, promettendo una “garanzia”, una fabbrica di tirocini di dubbio valore, suscita non poche perplessità.