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Le sfumature del razzismo nel mondo del calcio: Vesuvio, banane, idioti

27 Dicembre 2018 - 15:40 Felice Florio
Finché ci sarà un Koulibaly, un Balotelli e un Dani Alves, non sarà mai buonismo gratuito dire che non c'è un colore sbagliato, ma solo sacche di ignoranza negli stadi da espellere

La vergogna dei ‘buu’ razzisti non ha colore di maglia: da tanto, troppo tempo negli stadi si sentono versi, ululati e cori contro giocatori di origine africana. Dalle curve sono state lanciate anche banane all’indirizzo di calciatori con la carnagione più scura di quella dello svedese Jakob Johansson. Ma basta essere napoletani perché per loro qualcuno invochi un’eruzione del Vesuvio. Allora qual è la sfumatura giusta per non essere discriminati da chi canta ignoranza sugli spalti? Non c’è sfumatura sbagliata: suona di buonismo gratuito, ma siamo quasi nel 2019 e Kalidou Koulibaly, difensore franco-senegalese del Napoli, è stato bersagliato dagli ululati razzisti durante tutta la partita a San Siro del 26 dicembre. Ma nella storia recente del calcio è davvero raro che un arbitro abbia deciso di sospendere la partita.

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La regola esiste: “C’è già una normativa Uefa e Fifa che dice che quando ci sono cori razzisti o discriminatori a livello territoriale bisogna fare prima un annuncio pubblico”, ha spiegato il designatore arbitrale Nicola Rizzoli in un’intervista a Radio Anch’io, “se continuano si ferma la gara e si rifà l’appello, se continuano si sospende e si rifà un altro annuncio, se si continua si va negli spogliatoi e la palla tocca all’ordine pubblico che può decidere la definitiva sospensione perché diventa un problema di ordine pubblico”. Il presidente dell’Associazione italiana arbitri Marcello Nicchi e il presidente della Figc Gabriele Gravina già da questo autunno avevano riconosciuto che la cosa più difficile è applicare le norme che già ci sono. “Stiamo facendo una riflessione sulla sospensione dell’intera Serie A”, ha detto Gravina a Il Messaggero.

Non arbitra dallo scorso campionato in Serie A perché “dismesso per motivate ragioni tecniche”, Claudio Gavillucci: si è parlato molto di lui perché il 13 maggio 2018 sospese per tre minuti la partita Sampdoria-Napoli. Al 32’ del primo tempo nella gradinata sud del Ferraris si intonava il coro “O Vesuvio lavali col fuoco”. Ma quest’interruzione di un match per discriminazione territoriale o razziale resta un episodio piuttosto raro. Cinque anni prima, il 12 maggio 2013, fu l’arbitro Gianluca Rocchi a interrompere per poco più di 90 secondi il match a San Siro tra Milan-Roma dopo un primo tempo di ululati piovuti su Mario Balotelli, spesso vittima di insulti razzisti negli stadi. L’attaccante italiano ebbe una vibrante reazione zittendo la tifoseria romanista portandosi l’indice davanti alla bocca. Per SuperMario i conti con episodi discriminatori non si sono mai conclusi, nemmeno in Francia, al Nizza. È del 10 novembre 2018 una delle sue risposte più significative a questa piaga calcistica, affidata a una story su Instagram: “Voi razzisti meritate una cosa sola. Di vivere una vita soli, senza nessuno che vi pensi, senza mancare a nessuno e di andarvene un giorno senza mai essere ricordati. Voi siete la parte malata di questo mondo”.

Persino l’amichevole del 3 gennaio 2013 tra Pro Patria e Milan non fu sospesa per i cori che ricordavano i versi di una scimmia ripetuti più volte nei confronti di Kevin Prince Boateng, ma anche dei suoi compagni di colore Emanuelson, Niang e Muntari. Fu l’allora allenatore rossonero Massimiliano Allegri con il capitano Massimo Ambrosini a richiamare i suoi giocatori negli spogliatoi per fermare la partita dopo solo 26 minuti, quando Boateng, all’ennesimo ‘buu’, calciò il pallone contro la balaustra che separava la quarantina di ultrà della Pro Patria e il campo. Né l’arbitro Gianluca Benassi ritenne di sospendere la partita, né la Corte d’appello del tribunale di Milano ha confermato le pene comminate in primo grado a sei imputati per i cori razzisti.

Bisogna andare ancora più indietro nel tempo per ricordare, ed è doveroso, il gesto plateale del difensore del Messina Andrè Kpolo Zoro. Era il 27 novembre 2005. Al 21’ minuto del secondo tempo, dopo l’ennesimo insulto dei tifosi, Zoro prese il pallone in mano, fermando di fatto il match, per dirigersi verso la panchina: “Me ne vado, basta”, sembra voler dire facendo il gesto di smettere. I suoi compagni e un lungo abbraccio dell’interista Adriano lo convinsero a restare in campo. Quello stesso anno fece il giro del mondo l’esultanza da primate di Samuel Eto’o. L’attaccante del Barcellona, dopo il gol del 3-1, usò l’ironia per rispondere al razzismo degli ultrà del Saragozza che, dal primo minuto del match, indirizzarono versi da scimmia contro il camerunese. Tuttavia l’arbitro Fernando Carmona Mendez non riportò nulla nel referto post-partita, nemmeno delle noccioline piovute dagli spalti su Eto’o. “Ho ballato come una scimmia perché mi avevano trattato come una scimmia”, disse, “e ringrazio Deco che ha fatto il primate insieme a me pur essendo bianco”.

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Sempre in Spagna, sempre contro un giocatore del Barcellona, il terzino Dani Alves, i tifosi del Villarreal decisero di insultarlo lanciando una banana verso di lui. Era il 27 aprile 2014 e il brasiliano scelse di rispondere al razzismo piegandosi, raccogliendo la banana, sbucciandola e tirandole un morso. La partita, anche allora, continuò e il Villarreal ricevette una multa di soli 12.000 euro dalla Disciplinare spagnola. Quelle immagini, forti, si trasformarono in un’operazione di marketing contro il razzismo che fece il giro del mondo con l’hashtag #SomosTodosMacacos. 

Il 2 dicembre di quest’anno, dall’altro lato della Manica all’Emirates Stadium, durante il derby londinese Arsenal-Tottenham, un tifoso degli Spurs ha risposto al gol dell’ 1-0 di Pierre-Emerick Aubameyang lanciandogli contro una buccia di banana (questa volta mancava il frutto). L’uomo è stato allontanato dallo stadio e arrestato dalla polizia. Qualche mese prima, il 22 febbraio 2018, in Germania Michy Batshuayi, attaccante del Borussia Dortmund, dopo il match con l’Atalanta valido per qualificarsi alla passata edizione dell’Europa League si era sfogato su twitter per gli insulti razzisti che provenivano dai bergamaschi. “Godetevi l’Europa League in televisione” con gli hashtag #SayNoToRacism e #GoWatchBlackPanther, un invito ad andare al cinema a vedere il film ispirato a un supereroe nero e africano. 

C’è del razzismo radicato nel mondo del calcio, non si può negare. E purtroppo ne sono coinvolti persino i bambini. Solo una settimana fa la Sezione disciplinare del Tribunale federale nazionale ha sanzionato 25 giocatori della Juventus Under 15. Si legge nel provvedimento che la motivazione è “l’avere tutti, al termine della gara Juventus-Napoli disputata lo scorso 11 giugno e valevole quale semifinale della Final Four Scudetto del Campionato Nazionale Under 15, intonato a gran voce al rientro negli spogliatoi un coro dal contenuto gravemente offensivo nei confronti della squadra avversaria, dei suoi tifosi e della città di Napoli”. Cori finiti anche in rete, per i quali poi i ragazzi hanno chiesto scusa: Luciano Pisapia, uno dei giovani calciatori sanzionati, pubblicò il video dei festeggiamenti nello spogliatoio juventino in cui i giocatori cantavano: “Abbiamo un sogno nel cuore, Napoli usa il sapone”. Suona di buonismo gratuito, ma l’unica sfumatura sbagliata è quella della materia grigia di alcuni tifosi: sbiadita.

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