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Come e perché sull’immigrazione Salvini ha stravinto, almeno fino a oggi…

05 Gennaio 2019 - 15:58 Enrico Mentana

“Crollano gli sbarchi, crollano i permessi umanitari. Volere è potere, io non mollo di un millimetro, avanti tutta! #stopinvasione”. È il perentorio tweet lanciato stamattina da Matteo Salvini.

Colpisce soprattutto l’hashtag, perché l’immagine di un’invasione è elemento retorico, figurato, che viene usato nella guerra degli slogan politici, ma non nelle comunicazioni dirette di un vicepremier con delega alla sicurezza territoriale. È da almeno un anno che i flussi migratori si sono praticamente azzerati, questo ce lo dicono gli stessi dati ufficiali del Viminale.

E allora perché Salvini stressa ancora il tema dell’invasione? Ovvio, perché continua a ritenerlo vincente rispetto all’opinione pubblica. E del resto tutti gli esperti demoscopici sono concordi nel dire che il grande balzo di consensi del leader leghista è partito dalla gestione intransigente della crisi legata alla nave Diciotti, l’estate scorsa.

Insomma, il “cattivismo” (caricatura speculare del “buonismo”) continua a pagare, e visto che siamo in campagna elettorale permanente Salvini ne fa un uso abbondante, ostentato, scegliendo come avversari e zimbelli tutti coloro che ne avversano le tesi, come fossero una compagnia di ventura del vecchiume, politici-attori-giornalisti-cantanti.

Li descrive come ricchi e privilegiati, baciati dall’establishment della sinistra, che non conoscono l’esasperante realtà del paese reale, delle periferie buie e invivibili, della prossimità col crimine, i campi rom e i centri di accoglienza, punti di raccolta della manovalanza buona per ogni traffico illegale.

E con gli appestati dell’accoglienza cieca finiscono nel lazzaretto della critica salviniana anche i monatti dell’aiuto in mare e a terra, burattini di una consorteria rapace, che va da Buzzi a Soros.

Il capovolgimento del sentimento sull’accoglienza è stato totale e repentino, in tutta Europa e nel resto dell’Occidente, ma è particolarmente evidente in un paese come il nostro che per radici cattoliche e esperienze massicce di emigrazione all’estero era illusoriamente considerato impermeabile a chiusure o ostilità nei confronti di chi arriva.

La miscela che ha ribaltato tutto è l’incrocio tra la coda della lunga crisi economica – che in Italia ha colpito più a lungo e più duramente che altrove – e la gigantesca ondata migratoria dall’Africa del 2015.

La sinistra che era alla guida del paese pensò che il fenomeno potesse essere governato: si illuse che il sentimento popolare fosse ancora quello novecentesco delle braccia aperte, degli italiani brava gente. Ma quella sinistra aveva perso il contatto con la realtà diffusa.

Non aveva visto che lungo il tunnel della crisi i ceti inferiori si erano impoveriti molto più di quanto non fosse stata intaccata la classe medio-alta urbana, ormai diventata il suo elettorato di riferimento.

L’Italia profonda dei piccoli centri e delle periferie urbane, che già scontava un ridimensionamento del suo tenore di vita e delle sue speranze future, da un giorno all’altro veniva investita dagli effetti collaterali di un’immigrazione senza filtro né organizzazione, ne percepiva i rischi e veniva contagiata dalle paure antiche, prima tra tutte quella dell’ “uomo nero”.

Avendo perso i contatti con quell’Italia profonda, la sinistra di governo continuò a lungo a credere che i valori fondamentali di fratellanza e accoglienza non fossero intaccati. E con ciò aggravò le cose, pensando che la grande battaglia “tra il bene e il male, tra il nuovo e il vecchio” sul referendum avrebbe fatto svoltare il paese intero, anche su questo crinale.

La dura sconfitta spazzò via anche l’incantesimo sui migranti: il dissenso era troppo ampio per proseguire sulla linea tracciata da Renzi e Alfano, e a tentare la disperata inversione di rotta fu chiamato Minniti. Ma era troppo tardi, troppo per la sinistra pura, troppo poco per frenare il flusso emotivo imperante.

Salvini ci era arrivato per primo. Ma non a caso anche forze tra loro opposte, e però molto simili nel sondare e cavalcare le istanze prevalenti dell’elettorato, come il M5S e Forza Italia, abbracciarono la linea dura.

Del resto, con la svolta Minniti anche il Pd aveva preso le distanze dalla sua stessa politica. E nessun altro in Europa era immune dal fuoco sovranista. L’egoismo dell’Unione, che aveva lasciato sola l’Italia, fu l’arma del colpo finale, la riprova dell’accusa definitiva.

“Non solo avete accettato un’ondata incontrollata, arricchendo le vostre cooperative di accoglienza, regalando 35 euro al giorno a sfaccendati negli hotel col wifi, importando le mafie africane, incrementando gli stupri, rendendo invivibili periferie e piccoli centri, ma in più avete fatto il lavoro sporco per Bruxelles Berlino e Parigi, che poi ci hanno pure lasciati soli. Complimenti!”.

Si sa come sono andate le cose, dalle elezioni di marzo in poi, fino ad oggi. Perfino nei giorni di Natale, quando i buoni sentimenti vengono somministrati ancor più dei carboidrati, una nave di soccorso con poche decine di migranti (uomini, donne o bambini, che cambia?) non ha trovato un porto che la accogliesse, nel disinteresse generale rotto solo da gesti e frasi di circostanza.

Queste sono le cause, le premesse e i passaggi fondamentali di una sconfitta storica, quella dell’idea di accoglienza fondata sui principi cristiani uniti a quelli della Francia del 1789. L’Italia ne è stata laboratorio politico come spesso le accade. Le cose possono cambiare? È giusto o no che cambino? Ne riparliamo nei prossimi giorni, qui.

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