Il deserto del Sahara tornerà abitabile? Tra 20mila anni (forse) sì
Uno studio pubblicato su Science Advances dai ricercatori delMassachusetts Institute of Technology (Mit), ha verificato mediante l’analisi dei depositi delle polveri del deserto del Sahara l’altalena climatica subita da questa regione del mondonegli ultimi 240mila anni. L’ipotesi è che periodici cambiamenti dell’asse terrestre abbiano sconvolto il Sahara, trasformandolo di volta in volta.
Sapevamo già che in passato il Sahara era un’area verdeggiante, grazie allepitture che gli uomini primitivi lasciarono nelle grotte, senza contare i fossili di animali del tutto estranei ad un ambiente desertico. I ricercatori del Mit hanno così verificato che effettivamente la foresta si è alternata al deserto ogni 20 mila anni.
Si tratta di un lasso di tempo piuttosto lungo per noi, ma forsepotremmo non dover aspettare così tanto. Pensiamo non solo agli studi volti a combattere l’avanzata del deserto, ma anche alla possibilità – al momento piuttostoteorica – di costruire degli impianti fotovoltaici capaci di produrre quantità di energia tali da poter coprire il fabbisogno di interi Paesi. Ci sono, però, ancora degli ostacoli che rendono difficilel’impresa.
Il fotovoltaico nel deserto per alimentare il mondo
Ogni tanto salta fuori la tesi in base alla quale concentrando pannelli fotovoltaici in aree ristrette del deserto del Sahara si potrebbe alimentare il mondo. Il debunker Paolo Attivissimo a suo tempo trovò una dellefonti principalidi questo esercizio teorico, si tratta della tesi di laurea di Nadine May. Si intitola Eco-balance of a Solar Electricity Transmission from North Africa to Europe.Suggerisce che non sarebbe necessario tapezzare il deserto di pannelli fotovoltaici per sostenere tutto il nostro fabbisogno di energia – teoricamente, si intende – perché bisogna tenere conto di diversi fattori avversi.
Oltre a quelli geopolitici (occorre che tutti i Paesi coinvolti vadano d’amore e d’accordo), bisogna tenere conto delle spese di manutenzione, immaginate solo la sabbia del Sahara quali problemi potrebbe rappresentare per la pulizia ed il contrasto dell’usura dei materiali.Le cifre sono tuttavia molto interessanti. Stimando il fabbisogno mondiale attorno ai 16 mila Terawatt all’ora nel 2004, soddisfarlo richiederebbe una superficie corrispondente a un quadrato con 254 chilometri di lato. Se volessimo accontentarci di coprire il bisogno europeo di energia, scenderemmo a 110 chilometri; solo la Germania si accontenterebbe di 45 chilometri.
Altri ostacoli che solo la volontà politica di finanziare la ricerca potrà superare, riguardano il problema dell’accumulo e della distribuzione dell’energia. Tutte le fonti rinnovabili sono intermittenti: il Sole è assente la notte, ma può essere oscurato anche da fattori atmosferici che in un deserto si presenterebbero di rado. Accumulare l’energia in modo da immetterla nei momenti di calo è un problema non banale. Come facciamo? Una soluzione su cui si sta puntando è quella delle celle a idrogeno: mediante un procedimento chiamato elettrolisi possiamo scomporre l’acqua nei suoi elementi (ossigeno e idrogeno) ricavando combustibile che a sua volta può alimentare delle turbine, generando energia. Ma questo procedimento ha una bassa resa, visto che spendiamo energia per ricavarne altra.
Sarà possibile un giorno terraformare il Sahara?
Un’altra questione riguarda la possibilità di contrastare l’avanzata dei deserti con operazioni che rendano possibilebonificarealcune sue aree, rendendole così produttive e abitabili. Parliamo quindi di “terraformazione”.Poter coltivare e ricavare risorse in zone altrimenti proibitive per gli insediamenti umani è un problema che interessa anche la Nasa, in vista della costruzione futuriinsediamenti su Marte. Pensiamo anche a quello che tutt’oggi si sta studiando nell’ambito delle Analog mission.
Per quanto sia palese agli scienziati dell’Agenzia spaziale che coltivare patate su Marte -come vediamo fare da Matt Damon in “The Martian” – sia ritenuto al momento impossibile,la Nasa non ha gettato la spugna, ma gli studi su questo frangente possono aiutarci a capire come potremmo fare qui sulla Terra per coltivare nei deserti.Parliamo alloradi Desert greening, ovvero un insieme di metodi volti a bonificare i deserti in modo da permettere attività agricole e sostenere la biodiversità, quindi il rifiorire di fauna e flora, se pure in aree estremamente ristrette.
Uno studio pubblicato nel 2013 intitolato Quantifying the “Energy-Return-on-Investment” of desert greening in the Sahara/Sahel using a Global Climate Model, analizza la resa degli investimenti che si potrebbeottenere, proprio nel Sahara. Le conclusioni suggeriscono l’utilità di questo genere di operazioni dal punto di vista della produzione di energia, con maggiori probabilità nelle zone del deserto più vicine al mare, prevede infatti sistemi di irrigazione con impianti di dissalazione e pompaggio.
Uno studio più recente del 2017 riguarda il deserto di Atacama in Sudamerica. Si ipotizzano anche effetti di cambiamento climatico dovuti al desert greening, se pure in regioni ristrette, ma al momento non abbiamo abbastanza dati per accertarlo, data anche la scarsità di osservazioni. L’ecologista e divulgatore Allan Savoryche ha dedicato la vita a combattere il fenomeno della desertificazione, sostiene anche la possibilità di combattere i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale, mediante il contenimento dell’avanzare dei deserti, strappando loro terreno. Parliamo di studi di frontiera che potrebbero regalarci interessanti scoperte nell’immediato futuro.