Riciclaggio, sequestrati 50 milioni a un imprenditore ravennate
Bologna, Ravenna, Brescia, Forlì e il foggiano. Riciclaggio e frodi fiscali sono il filo che unisce da nord a sud. La Direzione investigativa antimafia di Bologna, coordinata dal procuratore della Repubblica di Ravenna Alessandro Mancini e dalla sostituta Lucrezia Ciriello, ha sequestrato il patrimonio dell’imprenditore vitivinicolo ravennate Vincenzo Secondo Melandri: un patrimonio, quello del “re del vino”, di oltre 50 milioni di euro. Il sequestro arriva in esecuzione di un provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari di Ravenna, Andrea Galanti. Soldi, immobili nelle provincie di Ravenna, Forlì e Brescia, auto d’epoca e molo altro. Era questo il “tesoro” a disposizione di Melandri e della compagna, Roberta Bassi: un patrimonio, secondo gli inquirenti, “nettamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale”.
Il noto imprenditore vitivinicolo faentino è già in carcere: era stato arrestato nel dicembre del 2017 sempre dalla Dia di Bologna nell’ambito dell’operazione “Malavigna”, poiché ritenuto referente di un gruppo criminale specializzato nel riciclaggio di grossi capitali illeciti e nelle frodi fiscali realizzate attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti, con il coinvolgimento di pregiudicati vicini alla criminalità organizzata foggiana. Nell’operazione, che aveva già portato al sequestro di beni e soldi per un valore di più di 20 milioni di euro, risultavano coinvolti anche, da Cerignola, Gerardo Terlizzi, fratello del più famoso Giuseppe, reggente dell’ex-clan Piarrulli-Ferraro, e i fratelli Pietro e Giuseppe Errico, pregiudicati e a loro volta vicini al clan operante nella provincia di Foggia.
È coinvolta, dice sempre la direzione investigativa antimafia di Bologna, anche la compagna e socia di Melandri, Roberta Bassi, insieme a Rosa D’Apolito di Monte Sant’Angelo e Ruggiero Dipalo di Cerignola, “stabilmente al servizio dell’associazione e delle sue esigenze operative”. Vincenzo Secondo Melandri era già stato coinvolto, nel 2012, nell’operazione “Baccus” della Direzione distrettuale antimafia di Bari: la Corte d’Appello lo aveva condannato in quel caso a 4 anni di reclusione per reati associativi finalizzati alla truffa aggravata e ai reati fiscali.