La gogna-spettacolo di Battisti e quell’Italia che ne gode
Quando esattamente ci siamo abituati a pensare che un condannato ha diritto al rispetto solo quando è o potrebbe essere innocente? Deve essere successo un passo per volta. In principio, ci siamo divertiti a esultare quando veniva catturato un “cattivo vero”. Un mafioso, magari, o un politico di peso. «Se l’è meritato», abbiamo detto in quella circostanza. Certo, non era quello che ci suggeriva di fare quella spolverata di religione cattolica in cui tutti siamo passati, né tantomeno i principi dell’Illuminismo applicati alla pena, enunciati da un Cesare un po’ meno citato di quello di questi giorni: Beccaria. In questi tempi – che si caratterizzano per trasformare tutto in farsa – è evidente che ci siamo fatti prendere la mano. E le immagini delle ultime ore – dalla parata di accoglienza in aeroporto al detenuto Cesare Battisti al ministro Salvini che lo riceve con una divisa che non è e non può essere la sua, per finire con il video girato dal ministro Alfonso Bonafede, condito da musichetta in crescendo da fiction neppure di prim’ordine – devono dirci che si è superato un limite.
Il limite è che l’immagine del condannato non è fatta per essere esposta al pubblico ludibrio, alla folla che ritrova la sua unità di popolo assistendo al “supplizio” di chi espia la pena pubblicamente, come volevano le oscure leggi in voga fino alla fine del XVII secolo. Non ha senso farlo per nessuno. Diventa prima ridicolo e poi sinistro festeggiare quando finisce in galera un sessantenne condannato in contumacia che – anche se fosse colpevole – di certo non è più un pericolo per il nostro Paese. Il principio era valido anche prima della nascita della Repubblica, ma nella Carta costituzionale è detto in poche e chiare parole al terzo comma dell’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Non ci sono postille, né eccezioni.
Tra tutti i fuggitivi, Cesare Battisti è stato per anni probabilmente il più antipatico. Perché non si pentiva dei reati che gli venivano attribuiti, ma – soprattutto – perché nel suo giocare con la giustizia italiana finiva per ridere in faccia alle famiglie che avevano sofferto a causa sua (e quella risata sarebbe inaccettabile anche se fosse vero che non ha mai ucciso, come ha detto fin qui). Ma il bello di quelle semplici regole, della Bibbia o dello Stato di diritto, sta nella loro universalità: nessuno tocchi Caino.