Perché è morta la democrazia in Venezuela
David Puente il “venezuelano”. Sì, sono nato a Merida, in Venezuela, e mi sono trasferito in Italia nel 1990. Quello che sta succedendo nel mio Paese natale è nella normalità, tra manifestazioni, violenze e tentativi di colpo di Stato, un luogo dove la democrazia fa fatica a trovare spazio indipendentemente dalla fazione politica presente nel territorio.
Italiano dalla nascita, essendo mia madre friulana emigrata insieme ai miei nonni e zii, dovrei avere anche la nazionalità venezuelana secondo l’articolo 32 della Costituzione, ma è come se mi fosse stata revocata. L’ho scoperto nel 2009 quando, per non rischiare di perdere il mio passaporto italiano, decisi di presentarmi all’anagrafe per richiedere il mio documento di identità.
L’accoglienza non fu delle migliori, appena presentai la richiesta cambiarono atteggiamento. Avevo tutti i documenti necessari insieme a me per la richiesta, ma volevano “controllare il mio caso” con i dirigenti. Fiducioso, mi trovai però da solo dentro una piccola stanzetta seduto ad una sedia di legno di fronte a un tavolino vuoto. Avevo l’impressione di trovarmi davanti ad una sala degli interrogatori e avevo ragione.
Entra un funzionario e mi chiede: «Mario Anzil è suo nonno?». «Sì, è mio nonno», poi esce. Poco dopo ritorna e domanda: «Hugo Anzil è suo nonno?». La storia si ripete, passando da mio zio Alberto Anzil alle mie cugine e amici, finché dopo più di un’ora seduto in quell’ambiente claustrofobico il funzionario mi informa che al compimento dei miei 18 anni non avevo fatto richiesta del documento di identità e di conseguenza è come se avessi, a detta sua, rifiutato la nazionalità venezuelana e che per risolvere la mia situazione sarei dovuto andare a Caracas negli uffici centrali.
C’è un perché a tutto questo, la mia famiglia e le persone che erano state citate dal funzionario sono schedate per il semplice fatto di aver firmato un documento che serviva per l’avvio del referendum revocatorio del 2004. Il colpevole di tutto ciò ha nome e cognome, il deputato Luis Tascón e l’allora Governo Chavez.
Il referendum revocatorio è uno strumento democratico previsto nella Costituzione Bolivariana (art.72), dove i cittadini hanno la possibilità di scegliere se mandare a casa o meno il Governo in carica a metà mandato. Tutte le firme dei cittadini, raccolte nel 2003, furono pubblicate online dal deputato Luis Tascón affinché i cittadini verificassero se erano presenti senza aver realmente firmato. Il tutto con il benestare di Hugo Chavez e delle istituzioni.
L’obiettivo era chiaro, dimostrare che c’erano dei falsi e invalidare il referendum, ma in questo modo era stata resa pubblica una lista di proscrizione della storia venezuelana. Il 21 marzo 2004, il Ministro della Salute Roger Capella aveva apertamente etichettato come traditori tutti i firmatari e che non c’era spazio per loro, annunciando se necessario dei veri e propri licenziamenti di massa. La mia famiglia, e i miei amici, avevano firmato.
Come dicevo, la democrazia fa molta fatica ad affermarsi in Venezuela, dove troviamo una popolazione completamente spaccata e nemica l’una dell’altra senza se e senza ma, dove o sei “chavista”, un “rosso”, un “comunista”, o sei “nemico dei venezuelani”, uno “sporco yankee imperialista”, un “corrotto”. O con noi o contro di noi, un risultato ottenuto da oltre un decennio di polemiche, scontri violenti e falsità di ogni genere. Che rimanga Maduro o vinca l’opposizione di Juan Guaidó, ci vorranno anni, forse qualche generazione, perché tutto questo odio si attenui e il Paese diventi veramente democratico e civile.