Dall’Inter ad Auschwitz. Arpad Weisz: l’eroe dimenticato del calcio italiano
Una storia, quella di Arpad Weisz, dai campi di calcio ad Auschwitz, che per più di sessant’anni è rimasta nell’oblio. La memoria calcistica italiana l’aveva dimenticato. Eppure Weisz era stato, forse, il più grande allenatore della sua epoca con tre scudetti vinti, uno con l’Inter e due con il Bologna.
Fino a quando, Matteo Marani, giornalista e vice direttore di Sky Sport, nel 2007 si ricorda di un certo allenatore ungherese e cerca di capire che fine avesse fatto.
Dal 1939 il suo nome, come quello di altri ebrei, era scomparso dai registri dell’anagrafe bolognese. Per trovare testimonianze della presenza dei Weisz, Marani decide di consultare l’archivio scolastico, nella speranza di trovare traccia dei suoi figli.
Nei registri del 1938 non c’è traccia dei Weisz: Marani, deluso, sta per rinunciare. Poi ha un’intuizione: i figli di Weisz non potevano frequentare la scuola in quegli anni visto che erano già state promulgate le leggi razziali.
Nei lunghi elenchi scolasticidel 1937 il cognomeWeiszc’è, eccolo lì: Roberto, il figlio di Arpad. Ma non è abbastanza. Marani deve confermare la sua ipotesi e per farlo comincia a telefonare a tutti i compagni di classe di Roberto Weisz.
Tante le chiamate, quasi tutte a vedove, fino a quando, un certo Giovanni Savigni gli risponde: «Certo che conosco Roberto Weisz, era il mio migliore amico». Di lì la strada è in discesa per le ricerche di Marani, che si trasformano in un libro:«Dallo scudetto ad Auschwitz».
Arpad Weisz era nato nel 1896 a Solt, in Ungheria. Grande appassionato di calcio, giocò prima nel Torekves, squadra di Budapest, e poi nel 1923 nel Maccabi Brno, squadra legata alla comunità ebraica della città morava. Weisz arrivò in Italia nel 1924 e giocò prima nell’Inter e poi nell’Alessandria.
Iniziò poi la sua carriera sulle panchine del campionato italiano. I primi successi arrivano durante la stagione 1929-1930 quando conquistò lo scudetto con la sua ex squadra, l’Inter, che nel frattempo aveva cambiato nome in Ambrosiana, nome più gradito al regime fascista.
A 34 anni, Weisz è, ancora oggi, il più giovane allenatore ad aver vinto il campionato italiano di calcio. In quella squadra c’era un giovane di 16 anni, Giuseppe Meazza, che diventerà poi capocannoniere e uno dei giocatori più rappresentativi dell’Inter e della sua epoca, tanto che a lui è dedicato lo stadio di Milano.
Ma Arpad Weisz, oltre ad assere un valente tecnico, fu anche un’abile tattico e teorico del ruolo. Nel 1930 uscì un suo libro, Il giuoco del calcio, in cui definisce la sua visione del ruolo dell’allenatore, una figura che avrebbe dovuto prendere parte agli allenamento sempre con la divisa da atleta.
Dopo l’esperienza a Milano fu però a Bologna che la vita di Weisz si trasformerà, facendolo diventare una figura mitica del calcio dell’epoca. Ed è propria la città emiliana ad avergli dedicato una targa sotto la torre di Maratona dello stadio Dall’Ara nel 2009.
A Bologna Weisz allenò per tre anni, dal 1935 al 1938 portando a casa due scudetti, quelli del ’36 e del ’37. Il suo calcio innovativo gli permise di conquistare anche l’Europa battendo il Chelsea per 4-1 nella finale del Torneo dell’Esposizione, la Champions League dell’epoca.
Dopo i successi Arpad Weisz divenne un eroe della città, ma il 1938 è un anno terribile per gli ebrei italiani: il 18 settembre Benito Mussolini annuncia a Trieste le leggi razziali. Migliaia di ebrei perdono il proprio lavoro, la loro vita viene capovolta e lacerati i loro diritti. Arpad decise di andarsene.
C’è chi dice che sarebbe potuto partire per il Sud America, lontano dall’orrore che di lì a poco avrebbe coinvolto lui e la sua famiglia. E invece no. Weisz scelse di rimanere in Europa e di continuare a fare quello che sapeva fare meglio: allenare.
Con la moglie Elena e i figli Roberto e Clara decise di andare prima in Francia e poi in Olanda, dove si stabilisce a Dordrecht dove allena squadre locali, ancora una volta, con buoni risultati. Ma la quiete dura poco. Nel 1940 a Germania nazista invade anche l’Olanda, iniziando la deportazione degli ebrei locali.
Dal campo di transito di Westerbrok, nel 1942 la moglie e i due figli vengono trasferiti ad Auschwitz, dove moriranno nelle camere a gas. Weisz viene invece spedito in un campo di lavoro dell’Alta Slesia. Dopo anche Wiesz sarà trasferito nel campo di sterminio polacco dove morirà nel 1944.
Dopo la caduta del fascismo la sua storia è caduta nel dimenticatoio, eppure, scrive Marani nel suo libro «aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. […] Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo».