Un posto per 4 candidati: quando è nato e a cosa serve il numero chiuso
Lega e Movimento 5 Stelle parlano da tempo dell’abolizione del numero chiuso all’università. A settembre 2018la ministra della Salute Giulia Grillo e il vicepremier Matteo Salvini si erano espressi a favore dell’eliminazione dei testd’ingresso. Salvini ha confermato le sue posizioni di recentedichiarandosi d’accordo col rettore dell’università di Ferrara Giorgio Zauli, che aveva detto di voler eliminare i test d’ ammissione alcorso di laurea in medicina e chirurgia del suo ateneo.
I corsi di laurea di area medico-sanitaria (medicina, odontoiatria, professioni sanitarie) sono quelli più “colpiti” dal numero chiuso.Secondo i dati del Sole 24 Ore, nel 2018 il numero dei candidatiidonei – cioè quelli che hanno superato i 20 punti necessari per accedere alla graduatoria nazionale – ha superato di 4 volte il numero dei posti disponibili, confermando la necessità di far subentrare diversi requisiti nei criteri di selezione (come il voto di uscita dal liceo).Ma qual è la storia del numero chiuso nelle facoltà scientifiche? Quando e perché fu istituito in Italia?
L’istituzione del numero chiuso
I corsi universitari di ambito medico-sanitario sono sempre stati a numero chiuso, ma dagli anni Venti in poi le maglie sono diventate sempre più larghe.Fino al 1923 questi corsi erano aperti soltanto agli studenti del classico. Quell’anno la riforma Gentile ha dato il via libera anche agli studenti dello scientifico.Con l’avvento dei movimenti studenteschi degli anni ’60, si è arrivati all’approvazione dellalegge 910del 1969 che ha aperto definitivamente le porte a tutti gli studentiin possesso di un diploma di maturità.
L’accesso libero ha provocato un aumento spropositato delle iscrizioni, che ha messo in evidenza tutti i limiti strutturali delle università: le classi troppo piccole, i laboratori non attrezzati, la mancanza di professori. Problemi che avrebbero potuto pregiudicare la qualità della formazione.Un’altra questione, posta in questo caso dall’Unione europea,riguardava l’eccessivo numero di laureati, spesso non adeguatamenteformati, rispetto alla reale domanda del mercato.L’apertura delle Università senza un preciso disegno di riforma rischiava di far crollare la qualità dell’istruzione all’interno del Paese.
La soluzione? Ilnumero chiuso
Nel 1987, il senatore Ortensio Zecchino presentò una proposta di leggeper istituire il numero chiuso in Italia. Il decreto divenne legge nel 1999durante il Governo D’Alema: quella che doveva essere una soluzione provvisoria divenne la regola. Oggi per iscriversi a Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e ai corsi di laurea delle professioni sanitarie bisogna fare un test che ogni anno esclude migliaia di studenti.
Una prima apertura al cambiamentoè arrivatacon il Governo Conte. Il 25 gennaio 2019, il rettore dell’Università di Ferrara, Giorgio Zauli, ha incontrato il viceministro dell’Istruzione Fioramonti per discutereun modello sperimentale che varrebbe soltanto per il corso di laurea in medicina e chirurgia dell’università di Ferrara. Ma che potrebbe fare da apripista anche per le altre università.L’incontro, avvenuto a porte chiuse, sembra aver sancito un accordo tra le parti: oltre alla classica selezione nazionale, l’Università accetteràaltri 600 studenti, che potranno iscriversi ufficialmente soltantose riusciranno a conseguire 32 crediti formativi universitari nel primo semestre, con una media non inferiore al 27. In caso contrario, verranno spostati nel corso di laurea di Biotecnologie mediche, secondo modalità non ancora chiarite.
Non si tratta, quindi, di una vera abolizione del numero chiuso. La proposta di Zaulirimandala selezione soltanto di qualche mese.Quella che il rettoreha definito la sua «battaglia culturale», dunque, non è così radicale come potrebbe sembrare. Ma è difficile immaginare scenari alternativi alla legge Zecchino senza un aumento dei fondi statali volti amigliorare le strutture, gli strumenti ela qualità degli insegnamenti. Il ministro Salvini ha supportato la proposta del rettore Zauli, senza parlare di un incrementodegli investimenti nell’istruzione universitaria.
Dopo l’annuncio del rettore sulla nuova metodologia di selezione, gli studenti dell’Università di Ferrara non hanno tardato a far sentire la propria voce. Non solo perché, come spesso accade, non sono stati coinvolti nel tavolo decisionale. Ma anche perché l’introduzione a tempo determinato di 600 studenti provocherà un sovraffollamento temporaneo delle aule e dei laboratori.Tra l’altro, dicono gli studenti,questa sperimentazione non tiene conto di un aspetto fondamentale: molti studenti hanno bisogno di lavorare per mantenersi gli studi, e questo potrebbe renderlimeno competitivi con chi può dedicarsi totalmente allo studio.