Cassazione: «La statura minima in Trenitalia discrimina le lavoratrici»
Una forma di discriminazione sessuale indiretta nei confronti delle donne. Così la Cassazione ha definito il requisito minimo di altezza, fissato in un metro e sessanta da Trenitalia, per poter partecipare alla procedura di assunzione per la figura di capotreno. Un requisito che, stando alla decisione della Cassazione, deve essere disapplicato. E per questa ragione, Trenitalia è stata condannata ad assumere Angela T., una aspirante lavoratrice esclusa per via della sua statura che non rispondeva allo standard minimo fissato dalla società. Società che, tra l'altro, davanti alla Corte Suprema non è riuscita a indicare nessuna mansione prevista dal contratto per la quale fosse assolutamente necessario essere alti almeno 1 metro e 60.
Respinto dunque il ricorso con il quale Trenitalia, nonostante la condanna all'assunzione – in primo grado e poi in secondo, dalla Corte di Appello di Roma nel 2014 - ha continuato a battersi contro l'assunzione di Angela e dunque contro quella delle ''capo servizio treno'' sotto il metro e sessanta.
Nel motivare la decisione, i giudici hanno detto di aver applicato il principio di diritto per cui, in tema di requisiti per l'assunzione, «la statura minima identica per uomini e donne è in contrasto con il principio di uguaglianza perché presuppone erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne e comporta una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime». Nell'elencare i suoi requisiti, la società deve dunque tenere conto delle diversità fisiche di genere. Ma il giudice ha anche valutato in concreto «il requisito richiesto dell'altezza rispetto alle mansioni da svolgere».