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L’assassino del sindaco Vassallo è ancora libero. Il fratello: «Svanita la fiducia nei pm»

05 Febbraio 2019 - 18:51 Alessandro Parodi
L'omicidio è avvenuto più di nove anni fa. La denuncia del fratello: «Abbiamo scoperto ora una serie di elementi che nessuno ci aveva mai raccontato»

Angelo Vassallo, sindaco di Pollica per 15 anni, è stato ucciso il 5 settembre 2010, ma i colpevoli del suo assassinio sono ancora impuniti. Anche se la natura dell’omicidio è ignota, è stato ipotizzato dal pubblico ministero Luigi Rocco che sia stato commissionato dalla camorra per punire Vassallo per l’attività di contrasto all’illegalità in ambito ambientale e sullo spaccio di droga. L’allora presidente del Parlamento Europeo, nel discorso in memoria del sindaco italiano, dopo il minuto di silenzio tributatogli dall’aula, aveva dichiarato: «È stato ucciso dalla camorra». Noto come il sindaco-pescatore, Vassallo era particolarmente sensibile alle tematiche ambientali ed era stato promotore nel 2007 della proposta di inclusione della dieta mediterranea tra i Patrimoni dell’umanità: candidatura italiana approvata dall’Unesco il 16 novembre 2010, poco settimane dopo la sua morte.

Otto anni, quelli trascorsi dall’omicidio, senza una verità, che hanno spinto il fratello Dario a prendere una posizione dura contro la procura: «Altri dubbi si incrociano con quelli precedenti e di colpo svanisce la fiducia nei confronti della procura di Salerno e di altri uomini delle istituzioni. Percorreremo altre strade, legali e istituzionali – ha aggiunto – perché nulla può essere lasciato al caso». Le parole di Vassallo, presidente della fondazione dedicata al fratello, sono arrivate in seguito alla visione di alcuni atti ufficiali: «Avevamo fatto richiesta formale di visionare la relazione balistica e l’autopsia tramite il nostro legale, l’avvocato Antonio Ingroia. – spiega – Abbiamo scoperto, dopo quasi nove anni, una serie di elementi che nessuno ci aveva mai raccontato».

Parlando con l’agenzia Ansa Vassallo ha spiegato che negli atti «Si legge che ad uccidere mio fratello sono stati nove colpi su nove. Per anni invece ci hanno ‘raccontato’ che su nove colpi esplosi dall’assassino o dagli assassini, solo sette avevano raggiunto il corpo di mio fratello. Gli stessi media per anni hanno riportato questa notizia e rileggendo decine e decine di articoli, quasi tutti evidenziano che Angelo fu colpito da 7 colpi di pistola. Abbiamo trovato solo due articoli dove l’unico a parlare di nove colpi era stato il vice capo della polizia Francesco Cirillo. Perché questa notizia non è mai stata rettificata dagli organi competenti?».

«La relazione balistica – ha proseguito Vassallo – dice anche chiaramente che “..le lesioni obiettivate indicano chiaramente che si trattò di una o più armi caricate con cartucce a proiettile unico…” Perché non ci hanno mai detto che le armi da fuoco potevano essere più di una? Inoltre, nella relazione si legge anche che l’aggressore “durante l’esplosione dei colpi si sarebbe trovato, in piedi o seduto sul sellino di un motorino, in posizione ‘sopraelevata’ rispetto alla vittima”». Chiede infine Vassallo: «Perché non ci hanno mai raccontato della possibile presenza di un motorino?»

A proposito dell’arma da fuoco utilizzata per l’omicidio, in seguito all’autopsia eseguita all’ospedale di Vallo della Lucania dal prof. Francesco Vinci, era stato ipotizzato l’uso di una calibro 9 per 21, che avrebbe sparato a distanza ravvicinata. La stessa autopsia aveva stabilito, come detto, che sui nove colpi esplosi solo sette fossero andati a segno. Nel settembre scorso Dario Vassallo aveva dichiarato di credere di conoscere il nome dell’assassino di suo fratello e che qualcuno abbia in qualche modo coperto il colpevole (o i colpevoli). Le dichiarazione di Vassallo erano arrivate pochi mesi dopo l’avviso di garanzia notificato a Lazzaro Cioffi dal pm di Salerno Colamonicini.

Cioffi è un (ormai) ex carabiniere accusato anche di essere colluso con il clan Caivano: secondo i magistrati avrebbe protetto le attività di narcotraffico della cosca. L’ex militare ha lavorato nel nucleo investigativo di Castello di Cisterna dal 1991 fino, appunto, al luglio del 2018, quando è stato arrestato.

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