I dati Ue parlano chiaro: la politica dei sussidi non basta
Sarà difficile far finta di niente. Al di là delle conseguenze concrete che le stime della Commissione Europea avranno sull'azione di governo ora la situazione cambia. Già il Fondo Monetario Internazionale aveva tagliato mercoledì 6 febbraio le stime ma nessun organismo internazionale si era spinto ad abbassarle così tanto come ha fatto oggi la Commissione. E questo è un colpo che difficilmente il governo riuscirà ad evitare sostenendo che nessuno all'estero sta scommettendo sul potenziale della manovra.
Infatti la Commissione è molto chiara: le stime tengono conto degli effetti della Legge di Bilancio italiana che, a loro giudizio, non sono sufficienti per sostenere la crescita al livello previsto dall'esecutivo. Si scrive nero su bianco che la poca crescita prevista sarà generata dall'aumento dei consumi privati, spinti dall'abbassamento del costo dell'energia e dall'introduzione del reddito di cittadinanza, ma questi effetti verranno mitigati da un peggioramento delle condizioni complessive del mercato del lavoro. Non basta quindi la spinta del reddito, i problemi sono più ampi e sono italiani, non è più possibile difendersi indicando solo il rallentamento internazionale.
Pesa infatti la situazione di perdurante incertezza politica. Ma pesano soprattutto gli investimenti che secondo la Commissione diminuiranno notevolmente nel 2019 e resteranno immutati nel 2020. Ed è difficile non pensare a tutto il dibattito sulle infrastrutture di questi giorni dove si incrociano proprio il tema degli investimenti e quello dello scontro interno al governo che genera incertezza.
Servirà molto probabilmente una manovra correttiva di almeno 20 miliardi per poter tentare di spingere la crescita, anche perché sappiamo che se dovessero scattare le clausole di salvaguardia sull'IVA, cosa ormai quasi certa, la conseguenza sarà proprio sui consumi ossia sull'unica voce che la Commissione vede crescere nel 2019 e nel 2020.
Gli ultimi dati sul mercato del lavoro non sono di buon auspicio e, considerando che solitamente gli effetti dell'economia sull'occupazione sono ritardati. Non è quindi difficile prevedere un duro colpo nei prossimi mesi. Colpo che non potrà essere attutito solamente dal reddito di cittadinanza e tantomeno dai prepensionamenti. Vedremo venerdì 7 febbraio i dati sulla produzione industriale ma il rischio concreto è quello di una fetta crescente di popolazione che richiederà il reddito e di una economia stagnante che, non riuscendo a creare lavoro, farà sì che questo si riduca a un sussidio, generando un effetto boomerang. Il mercato del lavoro ha bisogno di imprese che investano in innovazione e tecnologia e che creino quindi occupazione di qualità, cosa che non sta accadendo.
Gli effetti di Quota 100, che sembra avere molto successo nei primi giorni, rischiano di essere deleteri in questa situazione. Imprese in frenata saranno felici del prepensionamento dei loro lavoratori che porta a una riduzione del costo del lavoro complessivo. Ed è veramente difficile pensare che in questa situazione le imprese stesse, visto il calo della produzione industriale degli ultimi mesi, faranno nuove assunzioni. Con buona pace dei giovani ai quali è stata promessa una staffetta generazionale che li lascerà non solo con il cerino in mano, ma con sulle spalle il macigno dei costi dei neo-pensionati.
L'urgenza oggi è quella di entrare nell'ottica che siamo in una situazione di emergenza che rischia concretamente di allontanarci economicamente (oltre che politicamente) dagli altri Paesi sviluppati. E di fronte a questa emergenza non ci si può comportare come se fossimo in un momento ordinario. L'Italia non può permettersi altri due mesi di campagna elettorale costante, occorre lavorare al più presto perché almeno il secondo semestre dell'anno sia caratterizzato dalla crescita.
Crescita che non potrà che arrivare da interventi che spingano gli investimenti privati e sblocchino quelli pubblici. E soprattutto intervenendo, anche in modo impopolare ma per il popolo, sui problemi strutturali dell'Italia. Nessuno dice che occorra applicare per forza vecchie ricette, anzi, quello che ci si augura è che chi propone da anni la sfida del cambiamento si faccia al più presto venire idee nuove. Magari ascoltando di più imprese, sindacati e giovani generazioni.