Carne sintetica: perché non si investe nelle nuove proteine da laboratorio?
Una delle maggiori sfide nel campo alimentare è quella di riuscire a commercializzare la cosiddetta «carne coltivata». Ma, come spiegato in precedenza, i costi poco appetibili non creano interesse verso la materia. Eppure con la ricerca sarebbe possibile arrivare a procedure di produzione meno costose, così da arrivare a vendere questo alimento innovativo a prezzi competitivi per gli scaffali dei supermercati.
Detta anche «carne sintetica» o «clean meat», potrebbe rappresentare una valida alternativa agli insetti, i candidati più probabili nel futuro dei nostri piatti per sopperire al crescente fabbisogno mondiale di alimenti proteici. Il metodo di produzione è semplice da riassumere: si prendono cellule muscolari, ad esempio da una mucca, e le si coltivano in laboratorio. Ma semplice non significa facile, né a basso costo.
Un po’ di Storia
Già Winston Churchill auspicò nel 1931 che in futuro si sarebbe potuta coltivare la carne. Il primo tentativo si deve all’olandese Willem van Eelen che negli anni ’90 cominciò a ottenere i primi finanziamenti, riuscendo anche a brevettare l’idea. Grazie agli sforzi di van Eelen, il biologo vascolare Mark Post mostrò al mondo nel 2013 il primo hamburger costruito in laboratorio.
Interessi industriali e ricerca scientifica
Se da un lato ci sono già diverse aziende interessate, dall’altro scarseggiano i finanziamenti alla ricerca scientifica, come denunciato in un recente articolo pubblicato su Nature. Eppure ci sono alcuni magnati interessati a commercializzare carne «eco-compatibile», come ad esempio Bill Gates. Tuttavia l’industria difetta di parecchie competenze scientifiche e ingegneristiche necessarie, inoltre gli avanzamenti nelle tecniche rimangono coperti dal segreto aziendale, cosa che ostacola il progresso in questo campo.
Lo stato della ricerca negli Stati Uniti
Qualcosa però comincia a muoversi: in America il Good food institute (Gfi) ha stanziato tre milioni di dollari per finanziare 14 progetti, di cui otto destinati allo studio delle proteine vegetali, per un totale di 250 mila dollari ciascuno. Sono coinvolti diversi istituti, come l’Università della California, dove la biofisica Amy Rowat applica le conoscenze sulla biomeccanica delle cellule tumorali per la costruzione di «impalcature»: l’obiettivo è creare delle colture di cellule commestibili.