Arischia dieci anni dopo il terremoto: «Rientrare nella nostra casa? Ho perso la speranza»
Arischia è una frazione dell’Aquila: qui il terremoto ha colpito più volte nel tempo. La prima dieci anni fa, quel 6 aprile 2009 in cui la terra ha tremato e devastato la città. E poi nel 2016 e ancora di più il 18 gennaio 2017, in quella che gli abitanti chiamano la «tempesta perfetta»: non solo scosse, ma neve. Tanta neve.«Dopo il terremoto del 2009 mi avevano fatto rientrare in casa». Ennio è un pensionato. Racconta la sua storia camminando per le viuzze del centro storico di Arischia, ancora devastato e pericolante. «Poi, nel 2017, ci hanno detto di lasciare la casa per altri edifici pericolanti confinanti. E sono esattamente due anni che non possiamo rientrarci», dice arrivando davanti al portone della sua abitazione.
Le scosse del 2017 hanno danneggiato gli edifici del centro della popolosa frazione a nord del capoluogo abruzzese, trasformando di nuovo queste strade in zona rossa. Più di 40 famiglie avevano dovuto lasciare le loro case. «I dannirisalgono soprattutto a dieci anni fa. Da allora la ricostruzione, almeno in centro, è sostanzialmente ferma», dice Ennio. In periferia invece no, lì la situazione è decisamente migliore».
Anche Arischia è andata al voto per eleggere il nuovo Consiglio regionale e il nuovo Governatore, in una tornata elettorale locale ma dal sapore nazionale. Delle beghe di governo, però, qui interessa poco. «Mia madre e mio padre che hanno 98 e 97 anni, l’unico desiderio che hanno è di tornare a casa loro», dice Renato nel bar della piazzetta principale del paese. Ma sono dieci anni che le cose stanno sempre nello stesso modo: abitiamo nei Map». I Map, sono i moduli abitativi provvisori destinati ai cittadini con abitazione distrutta o danneggiata a seguito del sisma del 2009. «Rientrare nella nostra casa? Sto perdendo quasi tutte le speranze. E non riesco a capire perché. Tra Comune, Genio Civile, ingegneri e via dicendo. Non si riesce ad andare avanti», continua Renato.
«La situazione è disastrosa, la ricostruzione va a rilento, non riusciamo a tornare a quello che c’era prima del 2009», dice Elia Serpetti, consigliere dell’Aquila in quota Possibile. «Abbiamo ancora tanti problemi: la scuola chiude perché le famiglie sono fuori da Arischia, ad esempio. Se non si riesce a ricostruire, le persone non possono tornare». La cittadina si è spopolata, secondo alcuni gli abitanti ora sono quasi la metà rispetto al pre-terremoto. «Sono andati tutti fuori, alcuni non possono tornare per danni esterni che sono fesserie, quelle demolizioni che andavano fatte subito e invece non sono state fatte», continua Elia. «Qui sono andate via 90 famiglie».
E la politica? «La vecchia amministrazione ha dato molto per ricostruire la città: sensato, perché senza la città poi non ci sono le frazioni. Ma le frazioni sono rimaste indietro col cronoprogramma: quello che doveva partire ancora non parte. E negli aggregati che hanno i documenti a posto e la cui ricostruzione sta per partire, magari non tornerà nessuno a vivere», affermaSerpetti.
La ricostruzione dell’Aquila «sconta il problema della fuoriuscita frettolosa, per questioni politiche – di partito – dall’emergenza», dice a Open il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi. Centrodestra, già esponente di An, PdL e ora di Fratelli d’Italia, ha militato anche in CasaPound. Eletto nel giugno del 2017, ha preso in mano la città dopo due mandati del suo predecessoreMassimo Cialente, Pd. «La convinzione era che si potesse gestire una situazione straordinaria in condizioni ordinarie. L’ordinarietà va bene, ma va fatta con risorse economiche e umane e con procedure straordinarie: ci sono ancora troppe scuole che sono in edifici temporanei, sedi strategiche che sono fuori dai loro palazzi. Per me quello è stato un errore». L’Aquila comunque «è in trasformazione e sta rinascendo», conclude.
La ricostruzione «ha subito un grosso rallentamento negli ultimi due anni», replica dal canto suo l’ex primo cittadino Cialente, uno dei volti simbolo del terremoto dell’Aquila del 2009. «Da un lato per me è un errore, da parte del nuovo sindaco, mantenere a sé la delega alla ricostruzione: io avevo un assessore che ci lavorava full time. La legge della ricostruzione, poi, non è molto precisa. E c’è un ritardo enorme nelle frazioni per una serie di problemi: un cartello dei progettisti, difficoltà a mettere mano alle proprietà, una componente di abusivismo che va sanato, un ritardo nella macchina comunale di fatto smantellata», dice Cialente. Nei piccoli comuni o nelle frazioni «vittime di uno spopolamento abbiamo poi eredità con tanti proprietari: ad Arischia credo ci sia una stanza che ha addirittura 32 proprietari, molti dei quali dispersi nel mondo».