Eurostat, il gender gap nella scienza è ancora una realtà. Ma qualcosa sta cambiando
Nel 2015 le Nazioni Unite e UN Women, l’ente dedicato all’uguaglianza di genere e all’empowerment femminile, hanno istituitoLa Giornata mondiale delle ragazze e delle donne nella scienza, per tenere alta l’attenzione sulla parità dei sessi. Secondo gliultimi dati Eurostat riferiti al 2017, le percentuali in Europa sono ancora sbilanciate a favore degli uomini: il 41% di chi lavora in ambito scientifico e tecnologico è donna; il59% è uomo. Secondo l’Unesco, nel resto del mondo la media è ferma sotto la soglia del 30%.
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Non è così ovunque: in Paesi come la Bolivia, il Venezuela, la Tunisia e la Thailandia, i numeri sono a favore delle donne. Questo dimostra che la preponderanzamaschile negli studi scientifici è una problematica specifica solo di alcune nazioni. Il Paese che ha la più alta percentuale di donne impegnatenel campo della ricerca scientifica è la Birmania, dove si toccano cifre intorno all’85%.
«Siamo determinati a incoraggiare una nuova generazione di scienziate che affrontile grandi sfide della tecnologia», hanno scritto in una dichiarazione ufficiale Audrey Azoulay, la direttrice generale dell’Unesco, e Phumzile Mlambo-Ngcuka, la direttrice esecutiva dell’UN Women. Figura di certo emblematica in questo senso è stata sicuramente la giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, citata nell’intervento,che con le sue prese di posizioneradicali è riuscita a sensibilizzare molte persone, soprattutto i giovani, sul tema del cambiamento climatico. L’hashtagh #FridaysForFuture ha risvegliato le coscienze degli studenti delle scuole superiori in ogni parte del mondo: ogni venerdì vengono organizzati sciopericontro il cambiamento climatico.
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In Italia la situazione non è delle migliori, con unapercentuale femminile ferma largamente sotto il 40%. Ma interpretare il dato senza far riferimento al sistema globale della ricerca sarebbe incompleto. La quantità di persone impegnate nello studio per l’avanzamento tecnologico varia di Paese in Paese, e la percentuale femminile va inquadrata all’interno di un sistema che già di per sé non incentiva alla ricerca. Se in Israele, infatti, ci sono più di 8 ricercatori ogni 1000 abitanti, in Italia ne abbiamo 1 ogni 500.