Il terremoto abita ancora all’Aquila: «Dopo la catastrofe c’è stato il vuoto politico».
Il test delle urne abruzzesi, locale ma dall’eredità nazionale, ha dato il suo responso: vince il centrodestra. Ma la Regione, altrimenti di rado al centro delle cronache, continua a sentire tutto il peso del terremoto dell’Aquila di dieci anni fa. «L’Aquila in questi anni è stata costretta non solo a fare politica, ma a parlare di cose concrete. Quando ero sindaco risolvevo problemi concreti giorno dopo giorno: è questo quello che succede dopo un terremoto come quello del 6 aprile 2009». Il due volte primo cittadinoMassimo Cialente, già sindacodieci anni fa e fino a due anni fa, non ha dubbi. «È per questo che qui in Abruzzo non c’è spazio per i populismi. In qualunque caso». È la ragione, secondo lui, per cui all’Aquila città il Movimento 5 Stelle non ha attecchito. E trovare esponenti dei 5 Stelle nella domenica di voto nel capoluogo non è facile: neppure all’info point di Corso Vittorio Emanuele 106. E il Pd?«E il Pd… È evidente che è in difficoltà, con queste primarie che per me sono di transizione perché non sono sulle idee ma sulle persone», aggiunge Cialente. Anche il comitato elettorale del centrodestra, alle sei del pomeriggio, è illuminato ma apparentemente disabitato. Eppure è proprio per queste elezioni abruzzesi che è ricomparso sulla scena il centrodestra che fu, quello della foto di gruppo con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e un Silvio Berlusconi che si è rivisto da queste parti in occasione della campagna elettorale.
«Un’alternativa possibile», si dice certo l’attuale sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi. Già esponente di An, PdL e ora di Fratelli d’Italia, Biondi ha militato anche in CasaPound. «La nostra città, con il voto che mi ha eletto nel 2017, ha dimostrato che è un’alternativa possibile e che il centrodestra non è un osservatore rispetto al duopolio renzismo-grillismo», dice il sindaco. «D’altro canto, chissà se l’esecutivo resisterà. Hanno dovuto fare un contratto di governo, tante sono le cose che li dividono. È come mischiare l’acqua con l’olio». Poi certo, «da uomo delle istituzioni mi auguro invece che duri, perché L’Aquila e la ricostruzione hanno bisogno di stabilità». Cosa resta della politica e dell’attivismo a dieci anni da quel terremoto che aveva fatto 309 morti, più di 1600 feriti e più di 10 miliardi di euro di danni? «Erano nati tanti comitati: dopo la catastrofe c’è stato un grosso vuoto politico», racconta Alessandro Tettamanti del Comitato 3e32, sorto spontaneamente per iniziativa della società civile all’indomani del 6 aprile. Il nome viene dall’orario della prima, devastante scossa di quel giorno, alle 3 e 32 di notte. Una realtà che ha continuato, in questi anni, a fare politica. Mentre alla politica in senso stretto «è mancato e continua a mancare un’idea di città. E la capacità di coinvolgere quell’energia dal basso che c’è stata e c’è ancora», dice Alessandro. «Abbiamo molti progetti anche oggi, ma veniamo inspiegabilmente quasi tenuti ai margini. Come se il potere fosse sempre nelle mani delle stesse persone».