Rider in sciopero a Bologna per boicottare l’algoritmo: «Sotto 5 euro netti non consegniamo nulla»
Sulla sciadelle proteste che da anni hanno rotto il muro del silenzio intorno alla condizione dei lavoratori nell’ambito delle consegne, ieri sera, 10 febbraio,un gruppo di rider bolognesi ha scioperato contro Deliveroo. Riunitisi in un presidio davanti al McDonald’s di via Indipendenza a Bologna, hanno attivato in massa una strategia per colpire Frank, il software che organizza il lavoro e gestisce le consegne a domicilio.«A dirci dove, come e quando eseguire una consegna – hanno scritto in un post di Facebook dell’organizzazione Union RidersBologna– è un software molto intelligente a cui gli sviluppatori hanno perfino dato un nome, Frank, un algoritmo auto-apprendente capace di geolocalizzarci 24 ore su 24, in modo che possa estrarre dati preziosi dalle nostre pedalate e poter lavorare in maniera più efficiente».
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«Quello che Frank non sa – continua il post -è che stasera ci siamo organizzati per creargli un problema, sloggandoci dai turni poco prima che abbiano inizio e fare in modo che l’algoritmo incrementi la paga a consegna: il messaggio che vogliamo dare è che sotto 5 euro netti non consegneremo proprio un bel nulla!».
Lorenzo, un ragazzo di Roma che lavora da un anno e mezzo a Bologna come rider, ha raccontato a Open comeRidersUnion Bologna si è organizzata per scardinare il software e sfruttare il suo bug,per usare lo sciopero come strumento immediato di rivendicazione salariale.
Come funziona la strategia di sciopero contro l’algoritmo?
«Ci siamo stancati di questo regime del lavoro che scarica ogni responsabilità su di noi. Quindi, invece di limitarci a bloccare il servizio non andando a lavoro, applichiamo una strategia di attivazione dei bonus. I bonus sono degli incentivi che il software inserisce ogni volta che nota, per ogni ora, un vuoto di disponibilità. Quando accade, di solito i motivi riguardano la scarsità dei rider in relazione al volume degli ordini e in relazione alle condizioni critiche di mobilità (come pioggia o neve). Per sopperire a questo possibile “buco di guadagno”, le aziende hanno pensato bene di attivare questi incentivi per motivarci a pedalare di più e più rapidamente. Ma oltre a non rappresentare in nessun modo una forma di tutela per il lavoratore, sono anche irrisori: vanno da 0,50 centesimi fino a un massimo di 2 euro. È un automatismo disinteressato alla nostra condizione, quindi abbiamo deciso di sfruttarlo sloggandoci dalle prenotazioni, così da creare le condizioni di attivazione e poter raggiungere una paga più dignitosa che non sia mai inferiore ai 5 euro netti l’ora».
A che punto siete con il Governo?
«Nel nostro volantino c’è un esplicito riferimento al Governo, che deve essere chiaro su come ha intenzione di porsi nei nostri confronti. Si era partiti con roboanti proposte di legge, che sembravano voler accorpare sotto la definizione di lavoro subordinato una quantità di lavori che andava ben oltre i semplici rider. Al momento, invece, non si sa nulla su dove andranno a parare, né con quali tempistiche. Ma nell’immobilità più totale, abbiamo scelto di riprendere parola con uno sciopero un po’ inedito che ci collega con le grandi mobilitazioni che i rider di Deliveroo stanno mettendo in pratica nel nord Europa insieme al sindacato britannico IWW (Industrial Workers of the World/Lavoratori Industriali del Mondo)».
Lavoratori Deliveroo in protesta a Bruxelles
Quali problemi ci sono tutt’ora con le paghe?
«L’idea dello sciopero è nata a seguito dei cambiamenti in ambito retributivo che ci sono stati dall’anno scorso: da un minimo orario siamo passati alla paga interamente a consegna, fino ad arrivare alla Dynamic Fee, una tariffa composta da tre parti (2€ per il ritiro, 1€ per la consegna e una variabile per la distanza). Chiaramente è conveniente per l’azienda, perché con questo metodo riesce ad abbattere i costi. Da quando ha aperto il settore qui in Italia, l’ipotesi iniziale di pagamento orario è andata man mano scomparendo come in tutto il resto d’Europa, e noi stiamo provando a organizzarci sia localmente che a livello europeo. Al momentoquesta è la nostra professione, e il minimo che possiamo fare è organizzarci per rivendicare i nostri diritti. Tra l’altro è un mestiereche tende a slegare i dipendenti, che spesso non riesconoa fare gruppo e riconoscersi nelle stesse problematiche».