Sanremo, il voto e la democrazia
Diceva Winston Churchill che gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre. Attualizzando potremmo dire che gli italiani considerano il Festival di Sanremo come se fosse un’elezione e le elezioni come se fossero il Festival di Sanremo. Quello che è successo ieri è l’emblema di tutto questo: mentre si affrontavano le elezioni in Abruzzo il vero tema su cui in tanti si scannavano, sui social e non solo, era quello dei diritti di chi vota, della democrazia, del peso del voto popolare rispetto alle élite: rapportato alla consultazione abruzzese? No, a Sanremo…
Sono solo canzonette? Evidentemente no: perché l’interesse è forte (ognuno crede di avere non solo il diritto, come è sacrosanto, ma ormai anche il dovere di dire la sua nell’era dei social) e soprattutto forti sono gli interessi, economici e commerciali. E allora vale la pena di ricordare, non solo per quanto riguarda il festival di Sanremo, che il televoto non è la democrazia popolare ma semmai una forma di pseudodemocrazia a pagamento in cui i più furbi, e chi ci mette dei soldi, possono sicuramente alterare la somma dei risultati rispetto al voto dei singoli. Ma c’è da ridire, e molto, anche sulle “élite”, le giurie di qualità e della sala stampa.
Davvero noi giornalisti possiamo decretare il risultato di una competizione? Davvero siamo rappresentativi del mondo della musica? E la giuria di qualità come è stata scelta? Perché- con tutto il rispetto – un attore o uno scrittore o uno chef o un regista devono pesare da esperti? E poi, tra tutte le contraddizioni ce n’è una soprattutto che salta all’occhio: in finale sono arrivate 5 persone, i tre del Volo, Mahmood e Ultimo. Bene, la loro età varia tra i 26 e i 23 anni.
E le età degli 8 componenti della giuria di qualità? Vanno dai 73 ai 44: esattamente 73, 64, 62, 56, 54, 50 e due di 44. Con tutto il rispetto per la loro qualità, che per tutti loro meno uno si esplica fuori dal mondo della musica, siamo sicuri che la lunghezza d’onda – loro e della sala stampa – fosse quella giusta per scegliere il giovane vincitore di Sanremo. In tutti i casi, la democrazia è un’altra cosa.