Perché le frasi di Antonio Tajani sulle foibe hanno scatenato un incidente diplomatico?
L'Italia, già ai ferri corti con la Francia, che ha richiamato l'ambasciatore francese da Roma, è inciampata in un altro incidente diplomatico. Questa volta il Governo non c'entra nulla. Il caso è nato dopo le dichiarazioni di Antonio Tajani, ex europarlamentare di Forza Italia e oggi presidente del Parlamento europeo.
Durante le celebrazioni in occasione della Giornata del ricordo delle vittime delle foibe, l'eccidio di italiani costretti ad emigrare dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia durante la Seconda Guerra Mondiale, Tajani aveva proclamato: «Viva Trieste, viva l’Istria italiana, viva la Dalmazia italiana, viva gli esuli italiani, viva gli eredi degli esuli italiani». Frasi che ai vertici politici della Slovenia e la Croazia sono sembrate una rivendicazione territoriale.
Ma perché fa tanto discutere la frase di Tajani?
L'ambiguità nasce dal fatto che il Presidente dell'europarlamento non si è rivolto soltanto agli esuli e ai loro discendenti, ma ha fatto riferimento all'Istria e alla Dalmazia italiana. Si tratta di due aeree geografiche che da tempo non fanno più parte del nostro territorio nazionale e che in passato sono state oggetto di passioni e politiche irredentiste: un'invenzione tutta italiana, l'irredentismo, che ambiva a redimere – cioè a ridare identità e sovranità italiana – alle terre sottratte da poteri stranieri.
Almeno in teoria. In pratica, gli stati nazione sono invenzioni politiche – o «comunità immaginate» nella celebre frase di Benedict Anderson – i cui confini sono disegnati dall'uomo. Se è vero che le popolazioni della Dalmazia e dell'Istria condividevano molto dal punto di vista culturale con gli italiani, è altrettanto vero che nell'arco della loro storia avevano fatto parte di varie comunità politiche, attingendo a culture diverse fra loro.
Già in epoca risorgimentale, l'Italia appena unita aveva avanzato pretese politiche nei confronti dei territori adriatici. Lo stato liberale considerava «non Regnicoli» (cioè non del Regno Italiano), ma «culturalmente italiane» le popolazioni dei territori sotto il controllo dell'Impero austro-ungarico. Poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1919, il poeta Gabriele D'Annunzio, si improvvisò condottiero e guidò dei reparti ribelli dell'esercito italiano verso Fiume, proclamando la sua annessione al Regno d'Italia.
Fiume, insieme alla Dalmazia, era stata promessa all'Italia dagli alleati nel caso di una vittoria, finché il presidente americano Woodrow Wilson non decise di sottrarre il premio, accendendo una nuova miccia irredentista. Una miccia che prese fuoco durante il Fascismo quando l'Italia invase la Yugoslavia comunista di Josip Tito, creando un Governatorato della Dalmazia. Nelle terre di confine il Fascismo aveva introdotto leggi punitive per le popolazioni slave, proibendo addirittura l'utilizzo di lingue al di fuori dell'italiano.
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Il premier sloveno: «Un grave atto di revisionismo storico»
L'accusa rivolta a Tajani è di aver richiamato quest'ultimo periodo di aggressione, violenza politica e culturale perpetrata dall'Italia, come ha dichiarato esplicitamente il premier Marjan Sarec, che ha definito le parole del presidente dell'europarlamento un grave atto di «revisionismo storico». Paradossalmente, una commemorazione nata per ricordare le vittime delle violenze perpetrate da parte del regime comunista di Tito ha portato a ricordare quelle commesse in nome di un'altra ideologia (e di un altro dittatore): l'irredentismo di stampo fascista. Tajani ha provato a chiarire, ma di questo probabilmente non si avrà memoria.