Perché secondo l’Oms la cannabis non sarebbe pericolosa
La fonte originale della notizia è un articolo pubblicato sul sito in spagnolo dell’Huffington Post, che titola «L’OMS raccomanda alle Nazioni Unite di cambiare lo stato della cannabis». Fa riferimento ad una lettera del segretario generale dell’Oms Tedros Adhanom indirizzata al suo collega delle Nazioni unite Antonio Guterres.
Come stanno davvero le cose
Non è da ritenersi un documento ufficiale ma è consultabile pubblicamente in rete, al contrario di quanto si potrebbe pensare dal taglio con cui in certi articoli sono stati presentati i fatti. Una copia digitalizzata è stata resa disponibile online su Scribd dalla stessa redazione dell’HuffingtonPost(copia cache). Il documento risale al mese scorso (24 gennaio 2019). Si fa riferimento per altro ad un meeting del Comitato di esperti sulla tossicodipendenza (Ecdd), tenutosi nel novembre 2018 al quartier generale dell’Oms a Ginevra; si cita anche il precedente tenutosi a luglio, di cui esiste un report consultabile pubblicamente.
Gli esperti dell’Oms non fanno altro che prendere atto delle conoscenze attuali sulla cannabis, specialmente riguardo alle sue possibili applicazioni in campo medico, svolgendo una revisione preliminare sulle sostanze correlate alla pianta, i principi attivi (Thc e Cbd), la sua resina, estratti e tinture. Nella lettera si riportano quindi alcuni suggerimenti, come ad esempio la rimozione della pianta da quarta tabella, come venne stabilità dalla Single convention on narcotic drugsnel 1961.
Cosa sappiamo oggi sulla cannabis
Dagli anni ’60 a oggi le nostre conoscenze sulla cannabis sono cambiate. É difficile pensare a un’altra pianta cheabbia saputo animare più di altre dibattiti culturali e politici. La sostanza dalle proprietà stupefacenti prodotta dalle sue infiorescenze per la quale è stata amata e odiata, conosciuta come «marijuana» o «ganja», continua ad essere oggetto di vari proibizionismi in giro per il mondo. Nonostante faccia parte integrante della cultura popolare sono ancora tante le cose che «crediamo» di sapere su di lei, specialmente per quanto riguarda le sue vere o presunte proprietà curative.
La Canapa sativa
Il genere femminile di una pianta definita Canapa sativa è riuscita a farsi amare e odiare in tutto il mondo grazie ad una sostanza che riesce a produrre a livello delle sue infiorescenze; si tratta di un composto generato naturalmente dalla pianta per difendersi dagli erbivori: il «Delta-9- tetraidrocannabinolo» (Thc), concentrato in cristalli nel fiore della pianta può provocare una «brutta digestione» agli erbivori che osassero nutrirsene. Una strategia analoga viene seguita da altre piante, come quella del caffè mediante la caffeina.
Uno «spacciatore» dentro di noi
Può sembrare incredibile, ma il nostro corpo produce sostanze analoghe, si chiamano «endo-cannabionoidi», li crea quotidianamente il Sistema nervoso; esistono studi pionieristici anche su un loro ipotetico ruolo nel Sistema immunitario. Questi composti si occupano della percezione e trasmissione di messaggi molto importanti nella nostra vita, come lo stimolo della fame. Ecco perché assumere un cannabinoide come il Thc può indurci in uno stato alterato: semplicemente tale sostanza «imbroglia» i nostri neuroni, in virtù della sua somiglianza con gli endo-cannabinoidi.
Cos’è la fame chimica?
Gli endocannabinoidi producono rilassatezza e piacere, ciò che cerchiamo quando vogliamo lenire la fame. Il senso di gratifica verrà iper-stimolato quindi sotto l’effetto dei cannabinoidi, questi infatti andranno a depositarsi assieme ai nostri endo-cannabinoidi, occupando tutti i recettori e creando una vera e propria saturazione. Quando finiamo di assumere la sostanza i cannabinoidi cominceranno a mancare, quindi una serie di recettori neuronali rimarranno scoperti, generando il senso di fame.
Falsi miti sulla cannabis
Dalla cannabis possiamo estrarre un migliaio di composti simili al Delta-9-Thc dal caratteristico effetto psicotropo. Quelli che – secondo alcuni studi – avrebbero un effetto di rallentamento dei tumori, sono presenti in piccola quantità. Lo stesso fumo della cosiddetta «canna» contiene sostanze molto variegate. Terapie alternative che pretendono di curare mediante il fumo della cannabis sono da ritenersi inefficaci, quando non addirittura pericolose se allontanano dalle cure che hanno dimostrato di funzionare. Presupposti per andare avanti con la ricerca ne abbiamo, ma occorre fare attenzione a non fantasticare troppo. Tenendo conto del fatto che la cannabis contiene naturalmente anche altre sostanze più o meno psicotrope, si tende a parlare di «cannabinoidi»; questi sono in grado di interagire con dei recettori appositi, esistenti principalmente nel Sistema nervoso. Gli effetti che possono mediare sono diversi, ragione per cui hanno destato interesse in campo medico e farmacologico.
Precisazioni sull’uso terapeutico
Il problema delle sostanze aggiunte nelle dosi di marijuana venduta illegalmente non è di poco conto, ragione per cui sarebbe da incoscienti pensare di curarsi col fai da te, usando lo spacciatore come se fosse il farmacista di fiducia. Altra questione è quella dei cannabinoidi sintetici (Scb), che stando ad un recente studio non sarebbero proprio una alternativa definitiva a quelli estratti naturalmente. Chi produce illegalmente marijuana vuole arricchirla di sostanze atte a potenziare il cosiddetto «sballo», mentre sarebbe sbagliato sostenere che sia il Thc a essere diventato oggi più pericoloso. Se invece prendiamo in considerazione l’uso in ambito medico occorre ricordare che viene utilizzato anche un altro principio attivo presente nella pianta, ovvero il Cbd o altre sostanze presenti in quantità minori.
Rallenta la crescita tumorale?
Attenzione a chi propone guarigioni miracolose in Internet, specialmente se non si tratta di un vero medico. C’è chi di tanto in tanto rilancia terapie della speranza a base di marijuana, talvolta adducendo a presunti studi che riscontrerebbero un rallentamento della crescita tumorale. Purtroppo non è proprio così. Esistono effettivamente alcune ricerche, le quali hanno riscontrato dei rallentamenti, anche se presentano ancora contraddizioni e non pretendono di dimostrare l’esistenza di un effetto del genere sulla massa tumorale, senza contare il fatto che ogni tessuto presenterà valori e dinamiche diverse nello sviluppo del cancro. Ogni organo ha i propri recettori e «legge» diversi tipi di segnali. Affermare che un unico principio attivo possa venire a capo di un complesso sistema di messaggi – mediante un unico segnale – sarebbe dunque piuttosto azzardato, questo però non esclude che possa essere d’aiuto nell’ambito di terapie più complesse. C’è chi si è spinto più in là vantando la capacità da parte della cannabis di portare ad una vera e propria regressione del tumore, con situazioni tragiche in cui la chemioterapia viene abbandonata per affidarsi totalmente a questo genere di cure alternative. Tanti team di ricerca hanno compiuto numerosi studi dai risultati incoraggianti, ma prevalentemente in vitro. Il problema di questo genere di studi è che l’organismo umano è enormemente complesso rispetto ad una piastrina da laboratorio.
Trattamento della Sla e della Sclerosi multipla
Ad oggi purtroppo non conosciamo né l’origine della Sindrome laterale amiotrofica (Sla), né abbiamo terapie in grado di sconfiggerla. In questo ambito la cannabis utilizzata in medicina può avere un effetto lenitivo di alcuni sintomi, permettendo a chi è affetto da Sla di migliorare la qualità della propria vita, al netto di rari effetti collaterali non gravi, come avviene con tutti i farmaci. Per quanto riguarda la Sclerosi multipla (Sm) esistono diversi pro e contro a seconda che si lavori a livello di cervello o di midollo spinale. Il principio attivo è lenitivo di alcuni sintomi. I circuiti neuronali lesi possono beneficiare dell’effetto inibitore dei cannabinoidi, questi infatti agiscono come «depressori del tono corticale», ovvero sono di grande aiuto contro l’ansia, il focus degli studi in questo campo si concentra anche sul trattamento della spasticità da Sm e sul dolore cronico. I neuroni vengono resi più resistenti, impedendo loro di danneggiarsi tutti di colpo, in termini medici parliamo di: «effetto neuro-protettivo». Stando a studi molto recenti abbiamo lo stesso dati riguardo a dei rallentamenti della malattia, anche se i riscontri sono ancora relativamente scarsi. Al di là degli effetti palliativi in senso stretto, in combinazione con altri farmaci abbiamo riduzione di ansia e dolore cronico; effetti molto utili anche in ambito oncologico: parliamo di uno dei migliori antiemetici (contro il vomito) in questi contesti.
«Gateway drug»: precisazioni sulla tesi della droga di passaggio
Il luogo comune in base al quale chiunque consumi marijuana prima o poi finisca per assumere droghe pesanti è un esempio di come l’eccessiva semplificazione porti a distorcere la realtà, creando un’immagine negativa. Parliamo quindi della cannabis come «gateway drug» (droga di passaggio). Grazie ai recenti studi effettuati in merito oggi sappiamo che questa tesi è del tutto superata. Semplicemente è molto probabile che chiunque «si droghi pesantemente» abbia cominciato dalle canne, viceversa solo una minima parte di chi la prova degenera nelle peggiori tossicodipendenze, mentre una certa attenzione si dovrebbe avere anche nei confronti di alcol e tabacco, come viene precisato dall’Istituto americano sulle droghe da abuso:
«La maggior parte delle persone che usano la marijuana non usa altre sostanze ‘più complesse’. Inoltre, la sensibilizzazione incrociata non è esclusiva della marijuana. Anche l’alcol e la nicotina innescano il cervello per una maggiore risposta ad altri farmaci e sono, come la marijuana, anche tipicamente usati prima che una persona progredisca verso altre sostanze più dannose».
La marijuana «brucia» i neuroni?
Prendendo in considerazione i consumatori medi in età adulta, «farsi una canna» ogni tanto difficilmente potrà procurare danni, mentre per poterne avere sul serio se ne dovrebbero fumare un numero piuttosto alto. Del resto i meccanismi che dovrebbero portare a veri e propri danni ai neuroni sono ancora poco conosciuti, anche riguardo ad uno studio emblematico sul calo delQi, mentre se parliamo di «bruciare» i neuroni, sappiamo che non è stato mai riscontrato alcun caso di «atrofia». É vero comunque che in caso di alte dosi i cannabinoidi possono ridurre il «potenziamento post-sinaptico», ovvero uno dei meccanismi alla base della memoria a lungo termine. Quando vogliamo ricordare un momento felice della nostra vita i neuroni potenziano i legami relativi a esso. Su questo e sul Qi occorre comunque fare attenzione a quali aree cerebrali si fa riferimento, ricordando che parliamo di situazioni anomale, con dosi quotidiane molto elevate.
Precisazioni sulla «scimmia»
Non poter uscire con gli amici senza arrivare al rituale della canna, o viceversa arrivare a fumarla da soli, sono dinamiche sociali legate alla vera forma di dipendenza che la marijuana può causare:quella psicologica. Non esistono forme di dipendenza fisica derivate dalla cannabis. Non fa eccezione la cosiddetta «scimmia», da non confondere con un sintomo di astinenza vera e propria, mentre è indice del fatto che ad un certo punto della vita la marijuana può entrare nella cerchia delle cose che ci interessano maggiormente, avendo quindi conseguenze nella sferasociale.