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May striglia il suo partito. «La storia vi giudicherà. Restiamo uniti»

17 Febbraio 2019 - 16:50 Riccardo Liberatore
La Brexit si avvicina ma una soluzione è ancora lontana. Nel tentativo di unire il suo partito la Premier ha pubblicato una lettera in cui ha invitato i conservatori a pensare all'interesse del Paese e a non agire in modo ideologico

Mancano 40 giorni al 29 marzo, giorno in cui il Regno Unito dovrebbe lasciare l'Unione europea e per il momento ci sono ancora molti punti di domanda. Non è chiaro esattamente quando il parlamento britannico sarà chiamato a votare a favore o contro il nuovo accordo tra Gran Bretagna e Unione Europea e in che modo questo accordo sarà diverso dal precedente, bocciato dal parlamento a gennaio. Non è nemmeno certo che sarà l'attuale Premier, Theresa May a traghettare il Regno Unito fuori dall'Europa. Per sedare gli scontri all'interno del suo partito e del parlamento la premier ha pubblicato una lettera ai deputati conservatori in cui li invita a rimanere uniti e pensare al bene del Paese, con un avvertimento: «La storia vi giudicherà».

Nella lettera, di cui alcune parti sono state riportati dalla Bbc, May scrive: «Non intendo disconoscere la sincerità e la profondità dei punti di vista dei colleghi su questo importante problema, né il fatto che siamo tutti motivati da un comune desiderio di fare ciò che è meglio per il nostro Paese, anche se siamo in disaccordo sui mezzi. Ma credo che non riuscire a trovare un compromesso, necessario per raggiungere e far passare in Parlamento un accordo di fuoriuscita dall'Unione europea che dia attuazione a quanto chiesto nel referendum, deluderebbe il popolo, che ci ha delegato di rappresentarlo, mettendo a rischio il futuro luminoso che merita».

Il nodo rimane sempre lo stesso. Una minoranza (circa sessanta deputati) agguerrita dei conservatori considera l'accordo negoziato da May troppo debole, soprattutto sul fronte del regime commerciale e doganale che dovrebbe entrare in vigore dopo il 29 marzo finché l'esecutivo britannico non negozierà un nuovo accordo commerciale con i partner europei. L'accordo precedente prevedeva un «backstop», ovvero l'introduzione di nuovi controlli doganali all'unico confine territoriale con l'Ue (tra l'Irlanda del Nord e la Repubblica Irlandese) e la permanenza temporanea del Regno Unito nell'unione doganale. Una prospettiva che rischia di creare nuove divisioni all'interno dell'Irlanda e del Regno Unito, ma che di fatto ha già diviso il parlamento. Theresa May si era impegnata a ottenere nuove concessioni da parte dell'Ue su questo. Il risultati stentano ad arrivare, almeno stando a quanto riportato nelle dichiarazioni ufficiali.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso, determinando nuovi atti di ribellione all'interno del suo partito, è la decisione di May di rimandare il voto sull'accordo, spostandolo sempre di più verso la data del 29 marzo, senza però escludere definitivamente l'ipotesi di un «no deal Brexit», un'uscita senza accordo. Il timore di molti deputati è che Theresa May possa usare la minaccia di un «no deal» per forzare la mano al parlamento, costringendolo a votare a favore di un accordo che non vuole assolutamente sostenere.

Dall'altra parte, una minoranza di conservatori euroscettici accoglierebbe un'uscita senza accordo e non vuole che sia esclusa. Il 14 febbraio Theresa May aveva perso nuovamente un voto in parlamento in cui i deputati erano chiamati a giudicare la strategia di negoziazione, proprio a causa dell'astensione, per questo motivo, da parte della minoranza di conservatori euroscettici.

La prossima settimana Theresa May tornerà a Bruxelles per cercare di ottenere nuove concessioni da parte dell'Ue. La sua visita dovrebbe sovrapporsi a quella del leader dei laburisti Jeremy Corbyn, il quale ha deciso solo ora di sfidare direttamente la Premier. Corbyn si dovrebbe incontrare mercoledì o giovedì con il capo negoziatore Ue sulla Brexit, Michel Barnier, per presentare un suo piano b per un accordo diverso sulla Brexit. L'obiettivo è lo stesso della May: evitare il baratro del «no deal».

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