Airbnb bocciata dal Tar: dovrà riscuotere le imposte per gli affitti brevi
È dal 2017 che va avanti la battaglia tra l’Agenzia delle Entrate e Airbnb: quando il governo Gentiloni ha introdotto la cedolare secca del 21% per gli affitti inferiori ai 30 giorni (decreto legge 50/2017), Airbnb si è rifiutata di raccogliere le imposte e di comunicare i nomi dei locatari, facendo ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, che però ha respinto le sue richieste. In Italia, sulla piattaforma vengono proposte quasi 400 mila soluzioni e lo scorso anno 3,7 milioni di persone hanno usufruito del servizio. Secondo Federalberghi, la società «avrebbe omesso il versamento di più di 250 milioni di euro di imposte».
La posizione di Airbnb
Airbnb non crede sia suo compito riscuotere le imposte perché – così facendo – si comporterebbe da sostituto dell’Agenzia delle Entrate. «La sentenza punisce chi non usa il contante. Siamo delusi e intendiamo fare ricorso al il Consiglio di Stato». Per i giudici non c’è mai stata «disparità di trattamento o discriminazione nei confronti di Airbnb». Ma il decreto legge sulla cedolare secca per affitti brevi è chiaro: non è solo l’affittuario che utilizza Airbnb a essere soggetto all’imposta, ma qualsiasi «intermediario immobiliare», il quale deve trattenere il 21% dell’importo e versarlo subito al fisco italiano.
Le tasse non riscosse
Con la norma introdotta dal governo Gentiloni, si prevedeva un’entrata nelle casse dello Stato di 83 milioni di euro già nel 2017. Alla fine dell’anno, anche per effetto del rifiuto di Airbnb, le tasse riscosse ammontavano soltanto a 19 milioni. La piattaforma non ha voluto nemmeno trasmettere i dati degli host all’Agenzia delle Entrate che, attraverso le sue banche dati, avrebbe avuto un mezzo in più per dare la caccia a possibili evasori.
Il ministro Centinaio: «Lotta all’abusivismo e all’illegalità è prioritaria»
Gian Marco Centinaio, ministro del Turismo, ha commentato la notizia: «La sentenza del Tar conferma quanto noi abbiamo sempre sostenuto, cioè che la lotta all’abusivismo e all’illegalità è prioritaria per il rilancio del turismo che oggi sta investendo e danneggiando l’intero settore. Il nostro impegno è costante, stiamo lavorando a un codice identificativo per combattere questa problematica dell’accoglienza turistica». Il rischio per gli utenti è che il 21% di imposta possa trasformarsi in una maggiorazione: o per chi affitta la propria casa sulla piattaforma, o per chi ne usufruisce come visitatore. A meno che Airbnb non si faccia carico del costo della tassazione.