La mamma di Tiziana Cantone: «Mia figlia uccisa dal web. Ho scritto anche a Bonafede, ma non ha risposto»
«Voglio restituire verità a mia figlia, trattata nel peggiore dei modi. Nulla potrà fermarla, la verità, che è finalmente – troppo tardi – in cammino». Parola di mamma. Maria Teresa Giglio è la mamma di Tiziana Cantone, la 31enne che si è suicidata il 13 settembre 2016 impiccandosi nella sua casa di Mugnano, Napoli. Tiziana chiedeva l’oblio, dopo essere finita in rete con video hard. Non l’ha ottenuto neanche ora, a quasi tre anni dal suo suicidio. Domani, 21 febbraio, esce Uccisa dal web: un libro che ricostruisce la storia della 31enne napoletana. Edito da Jouvence, è stato scritto dal giornalista Luca Ribustini e Romina Farace, prima legale della mamma di Tiziana, e vuole fare luce analizzando circa 27mila messaggi whatsapp per capire quello che viene definito un «femminicidio social».
Nel frattempo il suo ex, Sergio Di Palo, con cui Tiziana aveva anche convissuto per qualche tempo, è stato rinviato a giudizio per simulazione di reato, calunnia, accesso abusivo del sistema informatico. Il processo in corso a Napoli, su richiesta del pubblico ministero, dell’imputato e delle parti civili, compresa la mamma di Tiziana, si svolgerà a porte chiuse. Per l’offesa al sentimento del pudore dei soggetti coinvolti e del «buon costume». «Non vedo l’ora che il libro venga pubblicato, per far capire a tutti la verità», racconta mamma Teresa a Open in una lunga conversazione telefonica. La verità, per lei, non è quella «raccontata da un certo tipo di stampa e di informazione».
Quando è uscito il primo video nel 2015 – ce ne sono diversi – si pensava «che fosse un fenomeno di costume». Qualcuno parlò anche di un’operazione di marketing per il lancio di una porno star. Tiziana divenne un meme, il suo volto su magliette e gadget, il suo nome e i video con lei dappertutto. «Non era affatto così: ho sempre cercato di raccontare la verità su chi fosse mia figlia anche in procura».
Perché ha deciso di partecipare alla scrittura di questo libro?
«Voglio restituire a Tiziana quella dignità, quel rispetto e quella onorabilità che le sono stati negati quando era in vita. Anche ora la sua memoria viene offesa continuamente. La giustizia, quando arriva in ritardo, è una giustizia negata: intanto mi hanno fatto morire una figlia, e sembra che nessuno abbia finora percepito la gravità della cosa. E ho sempre detto che mia figlia era manipolata affettivamente da quell’uomo. Il fatto che lui – a me dà pure fastidio nominarlo – sia stato rinviato a giudizio con tre capi di imputazione – è una piccola soddisfazione. Ma dobbiamo aspettare per vedere come andrà il processo».
Si è sentita abbandonata dalle istituzioni?
«Sì, certo. Come si è sentita abbandonata mia figlia. Tiziana ha presentato tre denunce e lo Stato non l’ha protetta. Io ho presentato reclamo al Garante della Privacy nel febbraio 2017: non si è mossa una foglia, e questo è vergognoso. Quanti morti ancora in nome di questa libertà di espressione o cosa? E ho scritto anche, per ben tre volte via mail, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, poco prima di Natale. Nessuna risposta. Qui parliamo della vita delle persone, della vita dei nostri giovani. Vivo soltanto aspettando che arrivi quella giustizia che non è riuscita a salvare mia figlia. Io che mi sono sempre presa cura della sua vita, ora sono costretta a prendermi cura della sua memoria. E finora non ho ottenuto niente: le persone non devono essere costrette a porre fine alla loro vita per ottenere l’oblio».
Qual è il suo desiderio oggi?
«Verità su Tiziana. E poi vorrei che la morte di mia figlia non fosse invano: vorrei che sollecitasse le istituzioni a legiferare seriamente, con regole ad hoc. Questo problema non deve essere più sminuito. Su internet si è liberi di scrivere quello che si vuole. Ma questa libertà richiede rispetto da parte di tutti, su ogni mezzo. Mia figlia – e molte altre, costrette a cercare la morte perché in vita non è stato accolto il loro grido di aiuto – sono state ignorate. È qui che deve intervenire la politica. Tutti si devono prendere la responsabilità di ciò che si dice anche sul web: internet non è una cosa astratta, è formato da persone in carne e ossa.
Bisogna punire chi si rende colpevole di reati come la divulgazione di contenuti illeciti. E poi tutti i giorni assistiamo a una campagna fatta di rancori e di invidia sociale. Non basta il percorso educativo: gli adulti non si possono più educare. Se non riescono e non riusciranno mai a capire di essere responsabili di ciò che fanno e dicono, allora deve intervenire la legge: i giovani sono tutti figli dello Stato, e in quanto tali vanno protetti. Le persone sono inclini alla cattiveria, non si rendono neanche conto del male che fanno mettendo in rete qualcosa di scabroso. Il web è diventato una nuova arma per uccidere».
La morte di Tiziana viene definita femminicidio social.
«Ho introdotto io questo termine. Tiziana è stata uccisa non solo dal suo aguzzino ma anche da quella feroce gogna mediatica cui è stata suo malgrado sottoposta. In quanto donna, sì: le donne sono sempre quelle più penalizzate, a parità di esposizione, quando succede qualcosa di scabroso. È inconcepibile. L’essere umano non cambierà mai e la nostra società è impregnata di sessismo e maschilismo patriarcale. Di ipocrisia».
Chi ha accanto in questa battaglia?
«Nessuno, sono sola in questa lotta. Come sanno tutti Tiziana non ha mai avuto un padre presente: io e mio marito ci siamo lasciati che lei non aveva neppure un mese. I miei fratelli sono molto più adulti di me. Ho una mamma di 93 anni in gravi condizioni di salute. Facevo l’impiegata comunale, ora sono in pre-pensionamento: lo avevo chiesto per stare vicino a mia figlia, mai avrei immaginato l’epilogo. Mai mi sarei immaginata di sapere cosa è un hosting, di parlare di dinamiche di internet. Sono sola a combattere contro tutti e contro quest’uomo, perché tutto è successo durante la convivenza con lui. E contro i colossi del web e i giganti del porno che continuano a fare soldi su una ragazza che non c’è più. Già, perché alcuni siti porno continuano a fare pubblicità con i video di mia figlia, anche recentemente. Qui non c’è più la pietas».