Manette e cartelli, e il terzo se la gode
Il gesto delle manette mimato da un eletto del popolo ai suoi avversari a sbeffeggiarli per l’arresto dei genitori del loro (ex?) leader fa solo schifo, tanto per non girarci attorno. Che lo compia il capogruppo del M5s nella giunta che ha appena salvato dal processo il vice-premier Matteo Salvini per il caso Diciotti, e proprio coi voti decisivi dei 5 stelle, rende solo più surreale la cosa. Crocerossino e manettaro nello stesso tempo.
Ma la scena che aveva davanti quel senatore era in verità surreale: decine di eletti del Pd che protestavano per l’esito della votazione, come se fosse stato scandaloso per gli alleati di governo di Salvini votare a favore del ministro dell’Interno, mentre loro tifavano per il processo. Insomma, la solita scorciatoia italiana: quando il tuo avversario si fa troppo forte puoi sempre sperare di vederlo azzoppare per via giudiziaria.
E se il livello è questo ai piani alti della politica, con che faccia ci si può poi stupire per gli obbrobri che si leggono sui social? La verità vera, e inconfessabile da entrambe le parti, è che ieri in quel cortile del Senato si scontravano due opposte frustrazioni. Quella di chi governa oggi dopo aver sempre fatto un’opposizione senza quartiere e super-giustizialista, e si ritrova a compiere scelte uguali a quelle contro cui fino a ieri sarebbe insorto con gran frastuono.
E la frustrazione speculare di chi a memoria recente aveva sempre governato, coltivando tutte le arti della realpolitik, e oggi si ritrova a manifestare coi cartelli come un goffo novizio del duro mestiere dell’opposizione. E in mezzo, invisibile, il terzo se la gode pensando a quel selfie impagabile.