G8, nuovo fascicolo della Corte dei conti: chi paga se in Italia non si punisce la tortura?
Un fascicolo “pilota” apre un nuovo filone di accertamento economico/amministrativo per la Corte dei conti genovese che il 22 febbraio ha celebrato l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Al centro della verifica contabile c’è l’ultima sentenza della Corte di Strasburgo che nel 2017 ha condannato l’Italia a risarcire 42 persone che tra il 20 e il 22 luglio 2001 sono state condotte nel carcere di Bolzaneto. Complessivamente, i giudici europei hanno riconosciuto tra i 10 e gli 85mila euro a testa per danni morali.
La sentenza – la seconda pronunciata dalla Cedu sui fatti di allora – metteva in evidenza due aspetti: da un lato il fatto che in Italia non esistesse all’epoca dei fatti il reato di tortura e che quindi i diritti delle vittime delle violenze non siano stati pienamente tutelati secondo gli standard europei. Dall’altro, il fatto che sia in sede penale sia in sede amministrativa e disciplinare, le indagini sui responsabili delle violenze avvenute a seguito di un arresto poi giudicato esso stesso illegittimo non siano state “efficaci”. Impossibile, ad esempio, identificare i responsabili delle violenze visto che gli agenti coinvolti non portavano distintivi sulle uniformi e la polizia non ha condotto indagini disciplinari interne che potessero aiutare le verifiche della magistratura.
Ora, la magistratura contabile vuole avviare anche un’azione risarcitoria. Con un passaggio indiretto: se l’Italia è stata condannata perché manca il reato di tortura, è vero, però, che l’intera azione parte dal comportamento degli agenti ritenuti responsabili dei singoli atti di violenza.
Sullo sfondo – anche se non c’entra con la sentenza di oggi – rimane il tema del reato di tortura: in Italia è stata nel frattempo approvata una legge che riconosce il reato, ma nel 2018 l’Onu ha invitato il nostro paese a rivedere la norma approvata. Il Comitato sulla tortura ha specificato che l’attuale legge è inadatta a punire la tortura è l’articolo 613-bis del Codice Penale deve essere riportato «in linea con l’articolo 1 della Convenzione, eliminando tutti gli elementi superflui e identificando l’autore e i fattori motivanti o le ragioni per l’uso della tortura».