Scatta la «fase2» del M5S: più partito che movimento
Dopo il voto sul caso Diciotti il Movimento 5 Stelle avvia una trasformazione strutturale: sulla piattaforma Rousseau gli attivisti saranno chiamati a decidere sull'organizzazione locale e nazionale, sul dialogo con le imprese e con le liste civiche in funzione elettorale. Di Maio media fra le posizioni più movimentiste di Grillo e quelle più istituzionali di Casaleggio junior
Dopo il voto sull’autorizzazione a procedere per il caso Diciotti, scatta la «fase2» del Movimento 5 Stelle. Sarà però una trasformazione più legata all’organizzazione della struttura, che un tradimento dei valori fondativi per esigenze di Palazzo. Al centro, come nel caso Diciotti, ci sarà la piattaforma Rousseau: Luigi Di Maio, capo politico del Movimento, dopo il vertice romano con Grillo e Casaleggio, annuncia che nelle prossime settimane verrà lanciata una consultazione online fra gli iscritti sul tema dell’organizzazione locale e nazionale, sul dialogo nei territori con le imprese («mondi con cui non abbiamo mai parlato» precisa il vicepremier) e sulla possibilità di dialogare con le liste civiche «radicate sul territorio».
Insomma il M5S sembra si stia preparando a diventare qualcosa che assomiglia di più a un partito rispetto alla creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, senza capi locali, sedi fisiche e tessere come le organizzazioni partitiche tradizionali. Questa evoluzione però sarà organizzata bilanciando le forze interne al movimento, visti anche i malumori dopo il salvataggio di Salvini.
Non c’è solo “il partito del 41%”, cioè di chi si è espresso a favore dell’autorizzazione a procedere per il ministro dell’Interno, ma Di Maio dovrà anche accontentare esigenze apparentemente opposte: quella di Davide Casaleggio che preme per una struttura più solida con capi locali e nazionali, con poteri decisionali (come ad esempio quello di scegliere le liste elettorali) e quella di Beppe Grillo, che teme che la sua creatura venga snaturata e, assecondando l’ala più movimentista, un appiattimento sulle posizioni della Lega, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche sull’impianto del Movimento. Insomma, secondo il comico, il calo dei consensi rischia di non arrestarsi se, anche dal punto di vista dell’organizzazione formale, il M5S non appare diverso dagli altri.
C’è poi l’eterno tema del doppio mandato. Periodicamente voci sul suo superamento sono smentite dai vertici del Movimento. Oggi, però, nell’ambito di questo nuovo corso strutturale la regola potrebbe saltare. L’escamotage dovrebbe essere, secondo alcune indiscrezioni, di ancorare l’obbligo alla singola carica. Cioè si potranno fare due mandati da consigliere comunale (e non un terzo), ma poi si potrà passare a un incarico in regione o in Parlamento. Di fatto, però, se sarà adottata questa linea, il Movimento avvierà ufficialmente un cursum honorum non molto differente da quello dei partiti della Prima Repubblica.
Gli attivisti del M5S saranno dunque chiamati, con le modalità della democrazia diretta, a decidere se trasformare o meno un movimento nato sulla rete, senza sedi e senza strutture piramidali, in un vero e proprio partito: apparentemente un paradosso. Di Maio e Casaleggio (Grillo meno), però, contano sul fatto che “il popolo della rete” con il voto sulla Diciotti abbia in qualche modo benedetto questa trasformazione: da più di sei mesi il Movimento è una forza di governo e il voto su Salvini conferma che gli attivisti hanno scelto che lo rimanga (visto che se fosse arrivato il via al processo, al di là delle dichiarazioni di rito, l’esecutivo sarebbe stato in bilico).
Un partito a 5 Stelle per recuperare consensi sui territori e bilanciare lo strapotere di Salvini. Conseguentemente, affermare che il 20 febbraio (giorno del voto in Giunta sul caso Diciotti) sia stato il 4 dicembre del Movimento 5 Stelle, come è stato proposto da alcuni commentatori, è probabilmente azzardato: quella data però segna un punto di non ritorno. Il M5S è oggi una forza di governo, che vuole restare al governo, possibilmente per anni: deve quindi fare i conti con la realtà che, contrariamente ai sogni di totale disintermediazione di Gianroberto Casaleggio, darsi una “forma partito” è un’esigenza ineludibile, pena l’irrilevanza politica, vista la forza, sui territori e non, dell’alleato di governo.
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