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La moda inquina, ma qualcosa sta cambiando: i progetti italiani che puntano sull’ecologia

Durante la Settimana della Moda di Milano, Open ha fatto un viaggio tra le imprese sostenibili italiane che fanno a pezzi la filosofia del «there is no alternative». L’alternativa c’è, eccome se c’è

«Ogni crisi è la migliore opportunità di progresso», dice Matteo Ward, fondatore di WRAD, parafrasando Einstein. «E il consumatore è parte integrante dell’innovazione e del cambiamento». WRAD è un brand with purpose, letteralmente un marchio con uno scopo/valore, mirato alla sensibilizzazione sui temi della sostenibilità nella moda. Matteo ha organizzato un’esposizione alla Fashion Week di Milano (22-25 febbraio) dal titolo Give a Fok-Us per attraversare il rapporto dell’industria del fashion con la natura, la società e l’individuo, perché «l’industria della moda è la seconda più inquinante al mondo», dice a Open. Per cambiare la rotta lavora insieme ad altri ragazzi, tra cui Stella, la figlia di Maria Spatafora, l’ambasciatrice italiana del movimento Fashion Revolution.

In questo panorama di risveglio per il global warming, l‘Italia si sta inserendo in maniera decisiva attraverso l’incrocio tra l’innovazione produttiva e l’artigianato della moda. E se è vero che ogni contesto sociale ha il suo linguaggio rivoluzionario, in Italia partire dal mondo del fashionpuò essere una strategia vincente sia per comunicare una sensibilità eco, sia per diffondere l’abitudine alle pratiche sostenibile.

«Non basta fare una collana con il cotone organico per cambiare le cose», ha spiegato a Open Nicola Giuggioli, il co-founder Eco-Age insieme a sua sorella Livia (la moglie di Colin Firth, ndr). «Bisogna rivedere il modo di produrre. I problemi sono le fabbriche, la quantità di linee prodotte ogni anno, gli sprechi». Eco-Age è l’unica agenzia nel mondo a fare consulenza sostenibile nel campo della moda – anche se il loro impegno si muove in tutti i settori dell’industria. Durante la Fashion Week di Milano, si impegnano a mantenere alto il trend del sostenibile: «Ibrand che stanno iniziando a dimostrare un interesse importante nei confronti del sostenibile, ha spiegato».

La moda inquina, ma qualcosa sta cambiando: i progetti italiani che puntano sull'ecologia foto 4

progetto quid|

Ma per abituare al sostenibile c’è bisogno di una strategia comunicativa forte e d’impatto, che parta dal gusto giovanile comune senza pretendere di essere qualcosa di diverso. «Lo stile è la condizione base per far avvicinare le persone ai valori solidali», dice Matteo.

Tracciare le catene della produzione

«Wrad nasce dalla consapevolezza che ci fosse un’asimmetria informativa tra produzione e consumo», spiega ancora Matteo. «Grazie a tutto il lavoro che stiamo facendo in questi anni, le generazioni più giovani si stanno iniziando a chiedere: “chi fa i miei vestiti”?».

«Le città e i centri dove c’è più facilità di accesso alla cultura sono i luoghi ideali per avvicinarsi al tema. Quando mostri ai ragazzi non solo il problema, ma anche la soluzione, loro si infiammano». Matteo e i ragazzi di Wrad nelle scuole per fare sensibilizzazione e cercare di mantenere solido il contatto tra vita reale e prospettive innovative. E lo fanno insieme a Fashion Revolution, la mobilitazione che ha portato a fare della tracciabilità un obbligo morale di molte aziende.

Qualche anno fa è crollato un palazzo in Bangladesh, il Rana Plaza di Savar: fu un evento tragico che aprì il vaso di Pandora sulle filiere e sulla produzione. «Fashion Revolution è stato il più grande movimento formatosi a partire da quell’evento, che con la campagna Who made my clothes? aveva iniziato a puntare i riflettori sulle catene dello sfruttamento tessile».

Nel momento in cui i brand si sono trovati spiazzati, i fornitori hanno cominciato a rispondere in maniera diretta, a mettere in chiaro i rapporti con le grandi aziende di abbigliamentoea reclamare dignità. «Attraverso la collaborazione tra Fashion Revolution e WRAD stiamo cercando di ristabilire il contatto tra produttore e consumatore: igrandi marchi, per rispondere alle esigenze dei consumatori, hanno iniziato a investire nel tracciamento della propria filiera per tutelare il dna dei brand».

E in tutto questo la tecnologia gioca un ruolo fondamentale: «In questa fase rivoluzionaria si sono scoperte nuove tecnologie, come la Block Chain, che consente di tracciare i percorsi attraverso diversi strumenti come il Qr Code», sottolinea Matteo.

La sostenibilità delle materie prime

“Sostenibilità” è un termine che ha molte sfaccettature: c’è quella deiprocessi di distribuzione, ma anche la sostenibilità delle materie prime e del processo, del come vengono trasformate.

Enrica Arena è la co-founder di Orange Fiber, una start up di Catania che utilizza il pastazzo (cioè lo scarto) delle arance siciliane per la creazione dei tessuti. Senza sfruttare ulteriormente il terreno, e senza porsi in concorrenza con il settore del food, Enrica e Adriana (l’altra fondatrice) stanno portando avanti la loro idea di sostenibilità che parte dalla materia prima. «L’importante è costruire una catena di produzione sostenibile», ha spiegato a Open. «Se oggi tutti i marchi volessero acquistare solamente materiali di questo tipo, non ce ne sarebbero a sufficienza per tutti. L’obiettivo è quello di far prendere coscienza sui processi delle filiere alle imprese e spingerli a trovare il loro margine di manovra e di innovazione».

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«Io ho lavorato alle Nazioni Unite e per me fare un lavoro che avesse a che fare con il sociale era fondamentale». Oggi sono un marchio che ora collabora con case di moda rinomate, come Ferragamo, e stanno iniziando ad aprirsi alle innovazioni partite dai piccoli imprenditori: «Ora i brand hanno voglia di aggiungere contenuto valoriale. La sostenibilità offre un’occasione importante, e nel nostro caso è anche un modo di fare innovazione facile».

L’attenzione ai lavoratori

Progetto Quid è un’impresa sociale nel campo della moda, nata a Verona nel 2013 per offrire opportunità di lavoro a persone con trascorsi di fragilità e con un focus forte al femminile. «Le donne subiscono un doppio stigma», ha spiegato a Open Giulia Houston, la rappresentante di Quid. «Da una parte l’Italia è al quinto posto per peggior gender gap salariale, dall’altra le donne, soprattutto migranti, sono una categoria rimasta assente dal mercato del lavoro per molto tempo» .

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Progetto Quid|

L’attenzione anche agli stranieri che arrivano in Italia senza competenze né opportunità è il cuore pulsante della cooperativa. «L’indipendenza economica è fondamentale – spiega Giulia – e per garantirla c’è bisogno di un focus educativo. Noi portiamo avanti dei laboratori di formazione per poi offrire contratti determinati e, a chi ha interesse di restare, un contratto a lungo termine che possa consentire di portare avanti il percorso lavorativo per molto tempo».

Ma non solo: le abilità imprenditoriali che questi lavoratori e queste lavoratrici sviluppano sono una condizione fondamentale per poter promuovere la loro salvaguardia anche fuori dall’impresa: «Così, chi vuole tornare dalla propria famiglia nei Paesi di origine può farlo portando con sé un bagaglio utile a una vita dignitosa».

Economia circolare e filosofia del riciclo

Lablaco è una start up milanese che ha riunito in un’app la filosofia del riciclo e del give away (letteralmente dare via, regalare): «È una piattaforma di economia circolare nata per evitare il cosiddetto “fashion waste” (rifiuti dell’industria della moda)», ha spiegato a Open Lorenzo Albrighi, il co-fondatore dell’impresa. «L’87% della produzione globale della moda viene buttata via, addirittura i capi invenduti vengono bruciati. Il passo fondamentale è quello di non mettere sul mercato altro prodotto, ma di far circolare quello già esistente. È una filosofia a spreco zero».

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Lablaco|

Lablaco tiene insieme filosofia del riciclo e slancio altruistico: si possono regalare gli abiti in giro per il mondo e conquistare monete digitali, del Lablacoin, con cui acquistare da 36 brand affliati in giro per il mondo. «Non è stato facile convincere case di lusso a entrare in un circuito in cui le persone si scambiavano e regalavano vestiti. Eppure, ce l’abbiamo fatta, grazie anche all’aiuto di influencer che hanno sostenuto la nostra causa».

E a operare nel riciclo è anche Repainted, un’azienda nata sulle spiagge di Ponza e ispirata dall’amore per il mare. Portata avanti con costanza da Maria Gammino, crea costumi e abiti da mare con la sola lycra italiana rigenerata.

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