Lavoro, i dieci anni che hanno cambiato tutto
In dieci anni è cambiato tutto nel mercato del lavoro italiano, o quasi. È questo quello che emerge dalla nuova analisi condotta da Istat, Inps, Ministero del Lavoro, Anpal e Inail presentata oggi. Cambia la composizione dei lavoratori, le loro competenze, i settori, le ore lavorate e tanto altro ancora. Un Rapporto che è anche una novità, perché per la prima volta mette a sistema fonti statistiche e amministrative provenienti da enti diversi per provare a dare un quadro complessivo di quello che sta accadendo nel mercato del lavoro in Italia e che per questo continueremo ad analizzare nei prossimi giorni.
Cambiamenti che potrebbero essere nascosti dal primo dato con il quale si apre il Rapporto: fatti 100 gli occupati del 2008 nel 2018 (dati del III trimestre) erano 99,4. Nei numeri assoluti non sembra cambiato nulla dunque, la crisi ci ha fatto scendere ma negli ultimi anni lo scenario è tornato quello di dieci anni fa. Ma se andiamo in profondità notiamo differenze abissali e enormi cambiamenti del panorama occupazionale italiano.
Per cominciare il mercato del lavoro guadagna ben 503mila occupate donne. Ma perde 388mila occupati maschi, segno che molti lavori persi negli anni della crisi non sono ancora stati ritrovati e che la componente femminile ha spesso sostenuto il reddito famigliare in nuclei nei quali, prima della recessione, lavorava solo il maschio. E questo aumento dell’occupazione femminile non spiega però i cambiamento sul regime orario che è uno degli elementi che ha visto la più grande mutazione nel decennio.
Infatti aumentano di 1,4 milioni gli occupati con part time involontario (coloro che vorrebbero lavorare con un full time ma non riescono a trovarlo) mentre diminuiscono di 866mila gli occupati a tempo pieno e di 450mila quelli a part time volontario. Non si tratta quindi di nuove donne al lavoro che scelgono il part time, ma di riduzione delle ore di lavoro che avviene contro la volontà del lavoratore a causa, probabilmente, di una riduzione della produzione e una mancanza di ripresa effettiva dopo la crisi economica. Per cui si predilige salvaguardare il numero degli occupati a scapito del numero di ore lavorate. Lo stesso Rapporto infatti mostra come negli ultimi dieci anni le ore lavorate siano diminuite del 5%.
Ma una ulteriore spiegazione di questo fenomeno arriva dai cambiamenti dei settori in cui si concentra il lavoro. Aumentano infatti i servizi collettivi e alla persona in cui il numero di ore lavorate è notoriamente inferiore a quelle dell’industria, che ha visto un calo di 287mila occupati e delle costruzioni (-549mila). Più occupati nella ristorazione, negli alberghi, nei servizi di cura all’interno delle famiglie, tutti lavori con meno ore, meno produttività e, spesso, meno salario rispetto all’occupazione più tradizionale nell’industria.
Altro cambiamento riguarda le tipologie contrattuali. In dieci anni abbiamo avuto 600mila lavoratori indipendenti (autonomi) in meno e 735mila dipendenti a termine in più, mentre i lavoratori a tempo indeterminato sono sostanzialmente invariato (-19mila). Sicuramente ha inciso l’eliminazione di forme contrattuali come il co.co.pro. a partire dal 2016 e la liberalizzazione dei contratti a termine ma è chiaro anche che la fase di ripresa ha coinciso con una mutazione delle scelte di assunzione delle imprese che si trovano ad operare in mercati più dinamici, incerti e concorrenziali.
C’è poi il dato demografico, che è fondamentale per capire presente e futuro del lavoro in Italia. Nel 2008 30 occupati su 100 avevano tra i 15 e i 34 anni, nel 2018 questo numero è sceso a 22. La causa principale è l’invecchiamento della popolazione ma un cambiamento così ampio (quasi un terzo) non può che esser stato causato anche dalla situazione di svantaggio e di difficoltà dei giovani nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro.
Giovani che nel 2017, secondo il Rapporto, hanno iniziato prevalentemente a lavorare con un contratto a termine (50%) o con un apprendistato (14%), mentre solo il 9% ha avuto un contratto a tempo indeterminato. Tempo indeterminato che, dopo 24 mesi dal primo lavoro, solo il 50% dei giovani possiede. E tempo indeterminato che è più probabile del 12,5% se si accede nel mercato del lavoro con un contratto di somministrazione rispetto all’accesso con un contratto a termine. Peccato che solo il 9% entrino nel mercato con questo contratto.
Nei prossimi giorni analizzeremo più nel dettaglio alcuni aspetti del Rapporto ma già da questo quadro emerge che qualsiasi ricetta politica ed economica che consideri il mercato del lavoro ancora quello di dieci anni fa non potrà portare alcun effetto positivo, anzi.