La fuga dei dottori di ricerca: 1 su 5 lascia l’Italia. E la colpa è anche degli scandali come quello di Catania
Sono il fiore all’occhiello delle università italiane eppure l’Italia non riesce a trattenerli. Parliamo dei dottori di ricerca: il 18,8% – quasi uno su cinque – vive e lavora all’estero. Per il nostro Paese è una perdita enorme, perché il dottorato di ricerca è il più alto titolo accademico, tanto in Italia quanto all’estero. La percentuale, calcolata dall’Istat, si riferisce ai dottori di ricerca tra i 25 e i 34 anni, che hanno un lavoro e che hanno completato il percorso in Italia nel 2014.
Lo scandalo dell’Università di Catania, che ha coinvolto il rettore, 9 docenti di alto grado e altri 40 professori di diversi atenei, ha spalancato di nuovo le porta alla domanda di sempre: quali sono le falle di un sistema che si lascia sfuggire le sue eccellenze e non ne riesce ad attrarne di nuove? Negli ultimi 5 anni le fughe all’estero di ricercatori sono aumentate: il «fenomeno è in crescita», avverte l’Istituto di statistica. «Fino al 2010 lavorava all’estero il 14,7% dei dottori di ricerca occupati». La percentuale è aumentata del 4,1%. Questi dati confermano che l’Italia non è sempre in grado di offrire impieghi stabili a personale qualificato, come aveva già rivelato un altro rapporto Istat sul mercato del lavoro.
Negli ultimi 5 anni le fughe all’estero di ricercatori sono aumentate: il «fenomeno è in crescita», avverte l’Istituto di statistica. «Fino al 2010 lavorava all’estero il 14,7% dei dottori di ricerca occupati». La percentuale è aumentata del 4,1%. Questi dati confermano che l’Italia non è sempre in grado di offrire impieghi stabili a personale qualificato, come aveva già rivelato un altro rapporto Istat sul mercato del lavoro.
Pochi bandi
«Niente di nuovo sul fronte occidentale» è l’amaro titolo dell’indagine condotta dall’Adi, l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, che ha condotto la ricerca sulla base dei dati ricevuti dal Miur. Ma qualcosa di nuovo c’è, ed è tutt’altro che positiva: in poco più di dieci anni, i posti per il dottorato sono calati del 43,4%, scendendo a 8960 dai 15.832 del 2017.
Il Sud Italia si è visto tagliare più della metà dei posti (il 55,5%), allargando ancora di più il divario con il Nord e il Centro in quanto a possibilità di carriera. A oggi, il Nord conta quasi la metà dei dottorati banditi in Italia (48,2%), contro il 29,6% del Centro e il 22,2% del Sud.
Poche certezze, poco lavoro
Tra i fattori che spingono i dottori di ricerca italiani a emigrare, la mancanza di opportunità lavorative, in Accademia e fuori, è uno dei più importanti. Come ha sottolineato l’Adi, solo il 10% dl totale conquista l’ambita cattedra, mentre gli altri rimangono ricercatori finiscono per essere espulsi dall’Univeristà. Anche i dati del Cineca elaborati dalla stessa Adi, hanno confermato che all’interno delle Università il personale precario supera quello stabile: i lavoratori a tempo determinato sono 68.428, contro i 47.561a tempo indeterminato.
Nemmeno fuori dall’Università sembra esserci speranza: una mancanza di prospettive che colpisce tanto gli italiani quanto gli stranieri. La fuga dei cervelli non sarebbe un problema, infatti, se l’Italia riuscisse ad attrarre talenti dall’estero. Ma i dati ci dicono l’esatto contrario: nel 2018, solo il 26,3% degli stranieri che hanno ottenuto il dottorato di ricerca in un ateneo italiano (pari a 259 dei 985 dottori di ricerca stranieri) è rimasto in Italia.
Chi se ne va
A decidere di andarsene sono soprattutto i giovani sotto i 29 anni e i ricercatori che hanno conseguito il titolo nelle università del Nord e del Centro, a prescindere dal voto finale e dalle tempistiche con cui si è portato a termine il percorso. Fisica, Matematica e Informatica sono i settori di studio che fanno guardare all’estero con maggior frequenza: «Gli occupati all’estero si esprimono in modo più ottimistico dei colleghi rimasti in Italia rispetto alla stabilità del posto di lavoro – si legge ancora – suggerendo la presenza di condizioni più favorevoli al rinnovo dell’occupazione».
Istat, livello medio di soddisfazione
Ma dove vanno, quando se ne vanno, i nostri cervelli? Regno Unito (21,1%), Stati Uniti (14%), Germania (11,7%), Francia (11,2%). Ma anche la Svizzera è un territorio ambito, soprattutto per chi studia fisica (il 15% dei dottori la sceglie come Paese di riferimento); come il Belgio, che attira non poco i dottori nelle Scienze giuridiche (20,5%). Per quanto riguarda i medici, il 27,8% si trasferisce in Gran Bretagna e il 25,8% vola negli Stati Uniti.
Istat, Paesi in cui vivono i dottori del 2014 che vivono all’estero nel 2018In generale, i dati sull’occupazione dei ricercatori che hanno lasciato l’Italia sono superiori di 2 punti rispetto a quelli che restano (96% a fronte del 93,8%). A dare una grande mano sono le borse di studio e gli assegni di ricerca che i Paesi esteri offrono agli studenti: il 33,4% degli occupati usufruisce degli aiuti dalle varie università, mentre è ferma sotto il 20% la quantità di ricercatori che, in Italia, sono riusciti ad avere accesso ai finanziamenti.
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