Perché la condanna per pedofilia al Cardinale Pell è stata resa pubblica due mesi dopo
È stata revocata la libertà su cauzione a George Pell. Il cardinale australiano, numero tre del Vaticano, è stato riconosciuto colpevole di abusi sessuali su due minori di 12 e 13 anni e sarà detenuto fino a quando la sua condanna non diventerà ufficiale, con la sentenza del prossimo 13 marzo: l’alto prelato, 77 anni, rischia fino a 50 anni di carcere per gli abusi compiuti nel 1996, quando aveva 55 anni, nella sagrestia della chiesa St Patrick a Melbourne. Il cardinale avrebbe molestato due giovani componenti del coro dopo aver servito messa; uno dei due ragazzi sarebbe stato nuovamente aggredito in un corridoio più di un mese dopo. La condanna di Pell era arrivata a dicembre, ma la notizia è stata fatta trapelare e resa pubblica solo due mesi dopo. Sulla sentenza era stato emesso un «suppression order», ovvero un ordine che, secondo la legge australiana, impedisce ai media la divulgazione dei fatti del processo, con possibili ripercussioni anche penali nel caso della sua violazione. La decisione di “censurare” la sentenza era stata presa dal giudice capo Peter Kidd.
La sua mossa ha fatto indignare l’opinione pubblica che ha tacciato il Governo di aver attaccato la libertà di stampa, ma le cose non stanno proprio così: l’ordine è stato emesso perché Pell era coinvolto in un secondo processo per abusi sessuali e la pubblicazione delle motivazioni della prima sentenza avrebbe potuto influenzare la giuria. Martedì 26 febbraio il «suppression order» è stato revocato perché le accuse relative al secondo processo sono cadute per insufficienza di prove. La notizia della condanna ha fatto il giro del mondo anche perché è arrivata a margine del summit voluto da Papa Francesco sulla pedofilia. Il prelato era stato denunciato da una donna di Canberra che nel 2006, aveva rivelato abusi sessuali su minori avvenuti dentro quella che era allora la sua arcidiocesi di Canberra e Goulburn.