«Legalizziamo la cannabis», i Radicali tornano in piazza. Ma cosa è cambiato?
Sono circa una decina i ragazzi che arrivano in piazza Montecitorio portando in spalla uno spinello gigante con la scritta «Accendiamo il dibattito». Si apre così la manifestazione dei Radicali Italiani per la legalizzazione della cannabis, nata come conseguenza della proposta di legge presentata dal senatore del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero, a gennaio, per la cancellazione del reato di produzione e vendita delle droghe leggere.
Al lato della piazza c’è un banchetto con volantini, una cassetta per le offerte e la bandiera del partito. Nessun palco, solo una cassa stereo e un microfono, in pieno stile radicale. Alcuni dei ragazzi tengono un cartello con lo slogan «WeeDo», un chiaro gioco di parole tra la parola «weed» (erba, in italiano) e «we do».
Il giro degli interventi si apre con il discorso della tesoriera del partito, Antonella Soldo. Racconta di aver fatto recapitare a tutti i 630 parlamentari «una lettera contenente un seme di cannabis» per ricordare loro che «ormai i tempi sono maturi perché la discussione sulla legalizzazione di tutta la filiera della cannabis diventi finalmente legge». Poi è il turno di Riccardo Magi, parlamentare nella lista +Europa di Emma Bonino: anche per lui è arrivato il momento di «superare i soliti retaggi sulle droghe leggere e di fare un passo avanti».
Prende la parola Carlo Monaco: giovane, di Roma, ha aperto Canapa Caffè. È una sala dedicata a pazienti clinici, in cui si può consumare liberamente la cannabis, previa prescrizione medica.
Chiude il cerchio Luca Marola, che lavora nell’industria della canapa light, ma non è uno qualunque: è l’uomo che il concetto di canapa light l’ha inventato. È a lui che si devono gli ottocento negozi che vendono cannabis in giro per l’Italia. «Ho sfruttato una zona grigia, una mancanza dei legislatori, quella delle infiorescenze. Mi sono accorto che nel testo redatto e poi approvato in Commissione Agricoltura del Senato («Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa», ndr), chi ci aveva lavorato non aveva tenuto conto dei fiori, ma solo delle foglie». – ci ha raccontato – «Ed ecco il risultato: la nascita di 2000 aziende che lavorano solo sulle infiorescenze, e ottocento attività che smerciano cannabis light. Solo nell’ultimo anno, hanno aperto in 375. Praticamente un negozio al giorno».
Nel chiacchiericcio generalizzato di chi è presente alla manifestazione, tra i partecipanti, c’è un ragazzo che se ne sta in disparte: si chiama Marco, ha 32 anni e vende legalmente cannabis. Dice che a modo suo è un attivista, «anche se non sono iscritto al partito». È curioso, vuole capire, ma vede il dibattito sulla questione come strumento ormai sorpassato: «Non bisognerebbe neanche più discuterne. Ancora non si è capito che legalizzare porterebbe solo benefici?».
Cannabis in Italia, a che punto siamo:
Annullare il reato per la coltivazione e la vendita di cannabis a uso personale e ricreativo. È quanto prevede il disegno di legge presentato a Palazzo Madama dal senatore del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero, a gennaio 2019. In realtà non è una novità, infatti un’idea simile era già stata dibattuta nella scorsa legislatura, approdando in Aula, per la prima volta nella storia della Repubblica, il 25 luglio 2016: una proposta di iniziativa popolare che aveva raccolto quasi 70 mila firme. Le firme sono, a oggi, chiuse in un cassetto, senza aver ricevuto mai una risposta. A proporla era stato l’intergruppo guidato da Benedetto Della Vedova di Scelta Civica.
Secondo Mantero, a dare credito alla sua proposta di legge c’è anche la relazione annuale del 2015 della Direzione Nazionale Antimafia che sottolineava, tra le tante cose, anche il totale fallimento dell’azione repressiva. Sempre facendo riferimento a quanto riportato dalla Dna nella relazione, il senatore sottolinea -in un post su Fb datato 9 gennaio 2019 – che «con la cancellazione del reato di produzione e vendita delle droghe leggere, che rappresenta più della metà del mercato degli stupefacenti, si risparmierebbero quasi 800 milioni di euro, in seguito alle minori spese tra magistratura, carcerari e quelle relative all’ordine pubblico ed alla sicurezza. Risorse economiche e finanziarie che potrebbero essere spostate al contrasto alle droghe pesanti, come cocaina, eroina e droghe sintetiche, queste sì realmente pericolose».
I Radicali Italiani hanno appoggiato la proposta del senatore. «In Italia consumare cannabis non è un reato. Lo è invece auto produrla, coltivandosela sul balcone o in giardino. Ed è un reato per cui si rischiano fino a 6 anni di carcere. È come se lo Stato dicesse: «puoi fumarti uno spinello, l’importante è che lo acquisti al mercato nero», si legge in una nota diffusa dal gruppo. Tra i sostenitori, e quindi anche promotori dell’iniziativa, c’è anche l’Associazione Luca Coscioni, che già dopo l’iniziativa popolare del 2016, è tornata sull’argomento chiedendo di riportarlo in Aula.
Infine, stando agli studi effettuati da Coldiretti, la nuova frontiera della cannabis light con la coltivazione e vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo (Thc) potrebbe sviluppare un giro d’affari potenziale stimato oltre i 40 milioni di euro. Un discorso a parte riguarda invece la cosiddetta «marijuana di Stato», ossia quella utilizzata per scopi terapeutici, e che potrebbe generare un giro di affari di 1,4 miliardi e garantire almeno 10mila posti di lavoro, riducendo al contempo la dipendenza dall’estero.