«Case chiuse». Ancora parole vecchie per un tema più che mai contemporaneo
Ieri Matteo Salvini ha lanciato l’ennesimo sasso nello stagno della politica italiana: «Riapriamo le case chiuse». Solito valzer di dichiarazioni indignate dall’altra sponda, solita attesa per la risposta del partner di Governo, solito tackle da parte degli alleati, a mezzo servizio, del centrodestra, fra cui spicca il notevole Andrea de Bertoldi di Fratelli d’Italia.
Il quale sostiene che i 5 Stelle, che si dice siano contrari al provvedimento, sarebbero colpevoli di aver dato il via al reddito di cittadinanza con un impatto anche sulla prostituzione. I beneficiari? «Saranno quelli che guadagnano in nero e tra questi, oltre a malviventi, nomadi e delinquenti ci saranno proprio le prostitute».
Ciò che però appare interessante non è il tema in sé. La Lega sostiene da tempo una legalizzazione della prostituzione con un certo, pare, successo popolare. È piuttosto l’uso di quell’espressione – «case chiuse» – dopo i porti le case, che rimanda a una supremazia del mascolino che sa subito di ventennio, di bidet a vista, di sconti per i “giovani di primo pelo”, di tenutarie burbere, spietate e sfatte.
Per molti, come per chi scrive, c’è nella prostituzione molto di squallido, un paradiso al primo piano che è purgatorio per chi compra e per chi vende. Per altrettanti invece non è così: solo questo, la problematicità del tema, varrebbe un dibattito democratico più attuale, meno velato di finto liberty e di persiane (gelosie, si diceva allora) sbarrate. Sembra, messa in questi termini, la trasposizione del tema dell’immigrazione in camera da letto: basta sostituire buonismo e cattivismo con moralismo e a-moralismo.
Viene da pensare che per bloccare questo circolo vizioso ci vorrebbe qualcuno, dall’altra parte rispetto alle posizioni del ministro dell’Interno, che dicesse: «Sai che c’è? Siamo nel 2019, parliamone». Andare in Parlamento e discutere se la legge Merlin non si possa rivedere. Mettere sul piatto tutte le posizioni, anche quelle che sembrano apertamente contrastanti.
Partendo magari da alcune considerazioni pro e altre contro. Da una parte, fra le altre, una, chiamiamola così, richiesta del mercato evidente a ogni adulto (online e offline) e l’opinione favorevole alla regolamentazione di una parte delle sex workers.
Dall’altra chi pensa invece che lo Stato si farebbe, se non complice, socio distratto di un mercato dove lo sfruttamento della persona è molto spesso la regola, dove la tratta degli esseri umani, in special modo delle donne (per non parlare dei minori) è la linfa che alimenta quell’economia. Parlarne, ma parlarne davvero. Se la contemporaneità è problematica, forse le scelte colorate tutte di bianco o tutte di nero non rappresentato la soluzione migliore.
Altrimenti anche questa del ministro dell’Interno sulla prostituzione diventa l’ennesima dichiarazione quotidiana per rimanere al centro della scena comunicativa. Fuori questa, dentro un’altra. Ma il tema rimane, rimane la necessità di una risposta che non sia quella del 1958, rimane per chi governa oggi e per chi governerà domani.