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«La Tav non è il cantiere più importante. Siamo al delirio». Intervista al prof. Ponti, autore dell’analisi costi-benefici

02 Marzo 2019 - 10:00 Valerio Mammone
«Per la prima volta in 20 anni l'Italia ha valutato un'opera basandosi sui numeri. È un esempio di democrazia». L'intervista al professor Ponti, consulente del ministro Toninelli ed esperto di economia dei trasporti

È esasperato, ma soddisfatto. Soddisfattoperché «siamo al delirio, all'isteria. La Tav non è un progetto così importante eppure sembra che dal suo destino dipenda il futuro del Paese». Soddisfatto perché «per la prima volta in 20 anni in Italia si discute diun'opera basandosi sui numeri». Lui è Marco Ponti, professore ordinario di Economia al Politecnico di Milano, esperto di economia dei trasporti e responsabile della commissione che ha realizzato l'analisi costi-benefici della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Lo abbiamo raggiunto al telefono perché il 1 marzo al romanzo sulla Tav si è aggiunto un nuovo capitolo: quello sulla mini-Tav.

Un progetto ridimensionato, sostenuto direttamente dal premier Giuseppe Conte, per il quale è stata richiesta una seconda analisi costi-benefici riferita solo all'Italia.La notizia è ancora su tutti i giornali. Per molti è la prova che la Lega, favorevole all'opera, e 5 i Stelle, storicamente contrari, stanno cercando un compromesso per salvare gli accordi presi con la Francia e portare a casa la linea senza spaccare l'elettorato grillino. La storia regge fino all'ora di pranzo, quando il presidente del Consiglio smentisce l'apertura alla mini Tav e nega di aver chiesto una seconda analisi costi-benefici, attribuendo l'iniziativa al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

Professor Ponti, ma quindi questa seconda analisi costi-benefici esiste?

«Non è un'analisi costi-benefici. È un estratto del primo documento, una sub-elaborazione tratta senza particolari problemi da quella già fatta».

Un estratto che serve a calcolare i costi della mini Tav?

«Quelle sono cose che vi inventate voi».

Non è vero che Lega e 5 Stelle stanno cercando un compromesso per realizzare l'opera?

«Non posso entrare nel merito, sono solo uno squallido economista e mi occupo di numeri. E i numeri, anche in questo caso, hanno confermato l'esito negativo (-2,5 miliardi di euro, ndr). Poi sarà la politica a fare le sue scelte».

Ma non è che gliel'ha commissionata la Lega?

«Ma no! Io lavoro per il ministero dei Trasporti. La richiesta è venuta da lì».

In cosa consiste questa «sub-elaborazione»?

«È un'analisi "sovranista", di cui non condividiamo l'approccio. Vede, lo spirito dell'analisi costi-benefici è calcolare l'impatto di un'opera sulla collettività, a livello internazionale. Con questa sub-elaborazione abbiamo calcolato soltanto le spese che dovrebbe sostenere l'Italia, ma il destino di un'opera non può essere deciso in base a chi mette i soldi. Se domani arrivasse il Kuwait e decidesse di finanziare un'opera inutile, daremmo l'ok soltanto perché non paghiamo noi? E se al posto del Kuwait c'è Roma, lo Stato? Chi ci rimette sono i contribuenti».

La Tav è un'opera inutile?

«Ci sono opere molto più importanti della Tav. Abbiamo 100 miliardi di progetti in corso: io mi preoccupo di quelli, non di un'opera che ne costa 5 o 6. Sto facendo una battaglia perché voglio che la cultura dei numeri prevalga sulla cultura dell'arbitrio del principe. Capisce cosa dico? Cambia il Governo, cambiano le idee sull'opera. Per la prima volta in 20 anni si è deciso di basare una scelta sui numeri, non era mai successo. Dov'erano tutti gli esperti di analisi costi-benefici negli ultimi 20 anni? Si sono svegliati tutti ora? Siamo al delirio, alla demenza».

Lei dice che ci sono opere più importanti, ma la Tav è un progetto di lungo corso, per il quale l'Italia si è impegnata con l'Europa e con la Francia. E poi: l'arbitrio del principe in questo caso non vale?

«Ma quello che lei dice vale per tutti i 100 miliardi di progetti. E che facciamo? Diciamo a tutti di sì? Le analisi costi-benefici sono democratiche perché sono basate sui numeri e prescindono da tutto, dagli accordi a chi mette i soldi».

Le faccio un'ultima domanda: se tornasse indietro accetterebbe di nuovo l'incarico?

«Assolutamente sì! Certo, vedo dell'isteria: sembra che all'improvviso tutto dipenda dalla Tav. In inglese la chiamano single-issue: con l'avvento dei media più diretti, si polarizza il dibattito su una cosa sola, indipendentemente dalla sua importanza. Io però credo nella mia battaglia e che sia importantissimo che l'Italia impari a discutere sui numeri».

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