Il plebiscito a Zingaretti, un macigno sull’era Renzi
C'è poco da girarci attorno, il voto a valanga a favore di Nicola Zingaretti, e lo stesso afflusso superiore a ogni pronostico ai gazebo delle primarie Pd, danno un segnale forte e preciso: che la gente di quel partito voleva chiudere e sigillare ermeticamente l'era Renzi, tornare al partito di prima, guidato da un segretario politicamente non cannibale, non divisivo, non ipercinetico, non dirompente e imprevedibile, non clamorosamente dissonante rispetto alla tradizione che il Pd si porta dietro, ai suoi legami, ai suoi rituali. E non a caso ha scelto la figura più distante possibile da Renzi, la più rassicurante, la meno divistica (e chi meglio del fratello sgobbone di un divo?).
Per garantirsi un futuro il Partito Democratico torna al passato, si riconcilia con lo spirito originario che Matteo Renzi aveva cercato di modificare profondamente, con risultati all'iniziotrionfali, ma poi sempre più controversi. Il Pd ha vissuto una lunga avventura esotica, a tinte forti, fuori dai suoi recinti tradizionali. Poi il brusco ritorno alla realtà, con davanti avversari sempre più forti, Salvini e il Movimento. Esattamente un anno fa, il 4 marzo, fu colpito d'incontro dal suo peggior risultato. Da oggi può cominciare almeno a discutere su cosa gli è successo, dopo dodici mesi al tappeto, tramortito. Vedremo se saprà rimettersi i guantoni.