Immagini dall’inferno: ecco come vivono i migranti nei centri di detenzione in Libia – Video
Quello che è successo nel centro di detenzione di Triq al Sikka a Tripoli, in Libia, è l’ennesima dimostrazione dell’inadeguatezza delle strutture libiche e dei soprusi e delle barbarie a cui sono sistematicamente sottoposti i migranti nel Paese.
A Triq al Sikka martedì 26 febbraio circa 500 residenti avevano inscenato una protesta per le condizioni del centro. Si trattava soprattutto di migranti che sono stati intercettati nel Mediterraneo dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’Unione europea, compresa l’Italia.
Dopo essere stati riportati in Libia erano finiti nel centro di detenzione senza una parola su quando sarebbero stati liberati. Quello che è successo dopo è indicibile. Secondo le testimonianze di alcuni migranti circa 30-50 persone, tra cui 4-5 minori, sono stati portati in una cella sotterranea dove sono stati rinchiusi e sottoposti a torture.
Si tratta dello stesso centro dove un profugo somalo, portato alla disperazione dall’attesa interminabile e dalle condizioni disumane in cui si trovava, si è dato fuoco nell’ottobre del 2018. Lo stesso dove i detenuti erano stati lasciati per un mese senza medicinali dopo un’epidemia di tubercolosi.
I’m starting a new thread about the urgent situation at Libya’s Triq al Sikka detention centre. As many as 30 refugees, incl 4-6 minors, are currently believed to be in an underground cell, where they may have been tortured as punishment for protesting.https://t.co/2K9NS0ea7s pic.twitter.com/U3X1kqb2zW
— Sally Hayden (@sallyhayd) 3 marzo 2019
La manifestazione del 26 febbraio
La protesta era stata pacifica. Come racconta la giornalista Sally Hayden, i manifestanti si erano radunati fuori dal centro con i loro averi, aspettando pazientemente di incontrarsi con rappresentanti dell’alto commissariato delle Nazioni Unite, come era stato loro promesso.
Dopo la visita di una delegazione olandese, invece, circa 100 guardie li hanno circondati e colpiti con oggetti metallici e bastoni. Le persone considerate a capo della rivolta sono state portate nella cella sotterranea.
Altri invece sono stati mandati in altri centri di detenzione, tra i quali Sebha, un altro luogo di tortura. Tutto ciò sotto gli occhi del Dipartimento per il contrasto all’emigrazione clandestina, quindi del Governo libico.
Siamo riusciti, grazie all’avvocato per l’immigrazione Giulia Tranchina (Wilson Solicitors LLP), a ottenere dei video e delle immagini inediti che mostrano alcuni momenti della protesta. Ma che ci permettono anche di documentare meglio le condizioni di vita in alcuni centri di detenzione.
I video delle proteste nel centro di Triq al Sikka
I centri di detenzione libici
Triq al Sikka, Sebha, Khoms. Sono circa 26 i centri di detenzione libici, dei veri e propri inferni per i migranti costretti a vivere in condizioni igieniche precarie, in stanze affollate, senza scorte alimentari sufficienti e, come se non bastasse, dove subiscono regolarmente abusi, maltrattamenti e violenze.
Lo ha accertato anche l’ong Human Rights Watch, in un rapporto pubblicato a gennaio di quest’anno. I centri di detenzione sono ufficialmente sotto il controllo del ministero dell’Interno libico. La posizione dell’Unione europea è che andrebbero chiusi. Eppure i migranti intercettati dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’Ue, li portano sempre lì.
È il caso dei migranti nel centro di Qasar bin ghasir, dove alcuni hanno condiviso delle foto che mostrano le lacerazioni dovute alle torture subite. O quello di Khoms, dove tutti gli alloggi, incluse le strutture igienico sanitarie sono in condizioni terribili. Sono luoghi che, come Triq al Sikka, hanno visto da gennaio altre proteste.