Un solo nome per due progetti (quasi) opposti. Il dialogo impossibile tra Pd e M5S sul salario minimo
Nove euro lordi a tutti i lavoratori contro nove euro netti per chi è escluso dalla contrattazione collettiva: partono da questi due punti di vista diversi le proposte di legge sul salario minimo presentate dal Movimento 5 Stelle (prima firmataria Nunzia Catalfo) e dal Partito Democratico (primo firmatario Mauro Laus). Ma il dialogo tra queste due forze politiche sembra impossibile.
La posizione del M5S
«La loro proposta non va bene perché non si collega alla contrattazione nazionale» spiega la prima firmataria della proposta M5S Catalfo riferendosi al fatto che il disegno di legge del Pd non prende in considerazione lo stipendio minimo stabilito dai contratti collettivi (negoziati con il sindacato). La senatrice era già tra i firmatari, nel 2013, del disegno di legge sul reddito di cittadinanza che ipotizzava l’istituzione di un salario minimo orario.
La replica di Boccia del PD
Secondo Francesco Boccia, deputato Pd tra i meno ostili nel partito al confronto con i 5 Stelle, «bisogna dividere le misure di contrasto alla povertà dalle politiche attive sul lavoro». Nel Partito Democratico era stato Matteo Renzi a lanciare per primo questa idea, proponendo un salario minimo legale a 9-10 euro l’ora ma secondo molti osservatori era una proposta fuori mercato.
Le stime dell’Istat
Questa settimana la commissione Lavoro del Senato ha ascoltato i pareri di diversi enti e valutato l’impatto dei due disegni di legge. Secondo l’Istat, l’introduzione di un salario di 9 euro lordi a tutti i lavoratori costerebbe alle imprese 3,2 miliardi di euro. L’istituto di statistica ha invitato i parlamentari a riflettere sulla scelta della soglia minima: troppo alta «potrebbe scoraggiare la domanda di lavoro o costruire un incentivo al lavoro irregolare», mentre troppo bassa «potrebbe garantire condizioni di vita non dignitose».