La lezione e le responsabilità dei giovani in piazza
Guardare al lungo periodo. È questa la lezione più importante che ci insegnano le centinaia di piazze riempite ieri nel mondo da giovani e giovanissimi. Il tema del clima si presta particolarmente a questo tipo di sguardo, ma è bene non concentrarsi solo sull'oggetto dimenticando il metodo. Una o più generazioni che si preoccupano delle generazioni successive, oltre che del loro futuro.
Un metodo non da poco in un momento storico in cui la politica non è in grado di guardare oltre le elezioni successive, siano essere amministrative, politiche o europee. Il tutto cosciente di aver di fronte una generazione che elettoralmente ha un peso inferiore e che spesso non si interessa a ciò di cui pure paga le conseguenze. Ma non solo, parlare di clima significa parlare delle trasformazioni del nostro mondo e ricordarci che nulla è un destino e su tutto si può intervenire. Trasformazioni che spesso risultano meno evidenti ma che quando parliamo di lavoro, di tecnologia, di demografia sono altrettanto dirompenti.
Tutto il resto è contorno e, ad oggi, va bene così. Non sappiamo se queste manifestazioni continueranno con lo stesso successo così come non sappiamo quanto i ragazzi che manifestavano sono coscienti della complessità del tema dei cambiamenti climatici e del rapporto tra processi di produzione e ambiente. A sentire le loro dichiarazioni catturate dalle telecamere, non molto. Ci siamo concentrati sulla figura di Greta, ma anche questa è secondaria nell'equilibrio complessivo. Si tratta di una figura iconica necessaria per identificare ogni grande movimento nazionale o internazionale, e l'insieme di attacchi ed ammirazione significa proprio che l'obiettivo è riuscito. Ora la sfida è duplice. Per i ragazzi si tratta di approfondire un tema che in larga parte non conoscono e di cui ignorano le molteplici intersezioni con i la realtà economica, le imprese e il lavoro. Complessità che non si può certo risolvere con generici appelli a radicali cambiamenti dei modelli di sviluppo e al modificare le proprie abitudini alimentari.
Tantomeno cadendo nella tentazione di riproporre vecchie ricette che possono risultare affascinanti nel loro potenziale rivoluzionario, ma che hanno già ampiamente dimostrato il loro fallimento in passato, un passato con il quale probabilmente le nuove generazioni non si sono imbattute. La benevolenza verso la giovane età ha durata breve se non si avanzano proposte concrete e sostenibili e questi momenti finiscono per essere dimenticati in fretta, con l'aggravante di rivangare il leit motiv dell'inconcludenza e dello spontaneismo dei giovani. Negli ultimi trent'anni si è assistito troppe volte a parabole di questo genere. Per la politica la sfida è quella di non declassare le manifestazioni di oggi ad un modo per impegnare al meglio un venerdì di sole. Si potrebbero ignorare centinaia di giovani in larghissima parte minori di diciotto anni, e quindi senza diritto di voto. Ma sarebbe un errore, perché il tema dei cambiamenti climatici è un facile gancio a tutto un insieme di altre tematiche.
Ma chiaramente la politica starà a guardare, per vedere se e come prendere sul serio quanto accaduto, anche perché rispondere seriamente alle istanze dei manifestanti significa compiere o almeno mettere in programma scelte impopolari. Abbiamo chiesto più volte, provocatoriamente, dove fossero i giovani in Italia. Qualcosa è successo, ora è il tempo delle responsabilità. A partire dall'elaborazione di soluzioni nuove ed inedite, in caso contrario la gioventù non sarebbe che un romantico dato anagrafico, utile per qualche prima pagina e niente più.