Manifestare per fermare il cambiamento climatico: avete pensato all’economia circolare?
Va bene farsi meno docce al giorno, cercare di comprare mobili di legno riciclato (ormai siamo abituati ai prodotti Ikea), acquistare prodotti a chilometro zero, anche se spesso più cari. Va bene anche non lasciare la tv in standby e mettersi un maglione in più per tenere la temperatura di casa a un grado in meno. Ma, parliamoci chiaro, questi piccoli gesti possono davvero arrestare il cambiamento climatico?
Il riscaldamento globale ha portato all’aumento di 0,85°C della temperatura media sulla Terra rispetto alla fine del XIX secolo. Gli scienziati hanno fissato come punto di non ritorno l’aumento di 2°C rispetto all’era preindustriale. E il pericoloso avvicinarsi a questa soglia suscita preoccupazione: di qui cortei, manifestazioni, campagne di sensibilizzazione per spingere le persone ad assumere comportamenti più sostenibili.
È tutto giusto. Ma è doveroso ricordare durante queste meravigliose giornate di protesta quali sono le principali cause del surriscaldamento globale e, conseguentemente, del cambiamento climatico. Attività industriali e combustione di carbone, petrolio e gas. Deforestazione. Allevamenti intensivi. Fertilizzanti contenenti azoto e gas fluorurati.
Quindi, se alcuni comportamenti (per esempio evitare di mangiare soia importata dal Sud America, le cui piantagioni sono tra le principali cause dell’abbattimento di foreste) possono effettivamente, portati in larga scala, dare un segnale positivo, non sarà la televisione rimasta accesa tutta la notte a spingere lontano dal Circolo artico gli orsi polari.
Va anche considerato che i comportamenti ecosostenibili, spesso, non sono affatto sostenibili economicamente: il pollo ruspante nutrito di sola erba costerà, per forza di cose, sempre di più del pollo cresciuto sotto una pioggia di foraggiate. Non ha davvero senso metterla sul piano dell’etica quando in Italia c’èla coda per l’assegno del reddito di cittadinanza.
Schema dell’economia circolare. Fonte: Parlamento europeo
Ma c’è qualcosa che possiamo fare che concili ambiente e convenienza economica? Sì, si chiama economia circolare. Un modello di produzione e di consumo che prevede buone pratiche: condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento, riciclo dei prodotti esistenti più e più volte. Il vecchio e caro modello economico lineare “estrarre, produrre, utilizzare e buttare”, non solo è passato di moda: in alcuni settori, con piccoli sforzi economici iniziali, è persino controproducente.
E l’Italia è maestra dell’economia circolare: il nostro Paese, per ogni chilogrammo di risorsa consumata, riesce a rigenerare 3€ di Pil (siamo sopra la media europea di 2,24€). Secondo il rapporto di Circular Economy Network e di Enea del 2019, siamo al primo posto in Europa per indice complessivo di circolarità (seguono il Regno Unito, la Germania, la Spagna e la Francia). L’economia circolare nell’Unione europea ha dato occupazione a circa 4 milioni di persone e, in Italia, si è arrivati al trattamento del 67% dei rifiuti industriali riciclati.
Ma a parte i freddi numeri, ci sono delle storie che possono raccontare la conciliazione tra profitto ed economia circolare. L’Atlante italiano dell’economia circolareracconta 100 esempi di imprese che si sono distinte per aver ridotto gli sprechi, implementando tecniche di riutilizzo o il consumo responsabile dei prodotti.
Il progetto 100% Campania, ad esempio, coinvolge una serie di aziende della regione che operano nella filiera della carta. Insieme fatturano 200 milioni di euro l’anno e ci lavorano 350 dipendenti. Ebbene, hanno calcolato che, riciclando sul territorio stesso circa metà delle 180 mila tonnellate di carta della raccolta differenziata campana, si crea un’ecosistema in grado di creare 300 posti di lavoro in più e circa 80 milioni di valore aggiunto.
A Reggio Calabria l’azienda R.ed.el, leader daquarant’anni in impianti energetici, sta tentando di convertirsi in un sistema economico circolare, dove rifiuti e scarti industriali tornano ad avere una nuova vita. Attraverso il progetto PVCUpCycling, in collaborazione con l’Università degli studi della Calabria e l’Enea,è stato inventato un metodo che trasforma il PVC dei cavi elettrici inutilizzabili in piastrelle e pavimentazioni esterne a basso impatto ambientale.
Nata a Milano, la startupGreenrailha sviluppato una tecnologia per realizzare traverse ferroviarie conpneumatici fuori uso e plastica da rifiuto urbano. Il materiale lavorato con i prodotti riciclati èrivoluzionario: riduce i costi di manutenzione della rete ferroviaria, abbatte sensibilmente il rumore e le vibrazioni al passaggio dei treni e contribuisce al recupero di 35 mila tonnellate di pneumatici e plastica per ogni chilometro di linea ferroviaria.
Si tratta di progetti la cui sostenibilità dal punto di vista dei costi-benefici non è in discussione. Il settore dove il concetto di economia circolare è meno sviluppato in Italia, paradossalmente, è quello della moda. Il tasso di raccolta di indumenti usati è pari all’11%, una raccolta ben al di sotto della media europea. La cifra diventa impietosa se guardiamo alla Germania, dove sette abiti su dieci sono riciclati.
L’implementazione dell’economia circolare non risolverà il problema del surriscaldamento globale: troppi gli attori in gioco, troppi i Paesi lontani dal nostro livello di sviluppo economico che non possono permettersi di rinunciare a parte della propria crescita (o rallentarla) per convertire subito tutte le attività produttive. Resta però giusto protestare affinché la politica intervenga sul tema e, se il cambiamento climatico non si può arrestare, almeno possiamo cambiare i nostri comportamenti, spesso sbagliati a prescindere dagli effetti che possono avere su larga scala. E, per carità, continuare a scendere in piazza: libertà è partecipazione!