Solo il 6,7% di chi ha richiesto il reddito di cittadinanza ha meno di 30 anni. Ecco perché
Solo il 6,7% delle richieste di reddito di cittadinanza proviene da giovani under 30. Sono questi i risultati di una prima analisi dei dati provenienti dai Cafelaborati dal Sole 24 Ore. Può essere che con i dati delle poste e del sito internet del reddito le percentuali cambino (i giovani potrebbero essere meno famigliari con la realtà dei Caf), ma probabilmente non sarà così.
Infatti,avevamo già anticipato su Open,che per i giovani sarebbe stato abbastanza difficile accedere a questo strumento. Il Decreto infatti prevede che i minori di 26 anni vengano considerati figli a carico e quindi rientrino nel reddito che viene erogato all’intera famiglia. Per i maggiori di 26 anni per non essere figlio a carico occorre un reddito superiore ai 2840 euro annui.
Se quindi un giovane sotto i 26 anni vive al di fuori delle mura domestiche senza essere fiscalmente fuori dal nucleo famigliare non potrà richiedere il reddito ma potrà beneficiarne in misura inferiore solo se la famiglia ha un reddito inferiore ai 9360 euro. Quello che probabilmente sta accadendo è che buona parte dei 2,1 milioni di Neet italiani(ovvero quelli che non lavorano né studiano)richiedono il reddito perché minori di 26 anni.
Bastano due dati a chiarire la situazione. Il primo è che Neet sotto i 24 anni sono 1,1 milioni, ai quali bisogna aggiungere quelli tra i 24 e i 26, per i quali non disponiamo di dati specifici. Possiamo immaginare si tratti realisticamente in totale di circa 1,3 milioni di persone senza lavoro e non inserite in un percorso lavorativo e che potrebbero beneficiare del reddito di cittadinanza per essere reinseriti, o inseriti da zero, nel mercato del lavoro. Infatti si può discutere o meno sull'efficacia del reddito e sulla sua struttura, ma è chiaro che – una volta che esso è attivo – il fatto che una grande fetta di giovani non possa accedervi, è una disuguaglianza generazionale fatta e finita.
A questo aggiungiamo il fatto che, secondo Eurostat, nel 2017 l'88% degli ragazzi e l'80% delle ragazze tra i 16 e i 29 anni in Italia viveva presso le famiglie. Dati che erano a disposizione del legislatore quando ha steso la norma e che sono a disposizione oggi del dibattito parlamentare cheprende il via questa settimana. La scusa ufficiale è che così si evita l'atteggiamento furbo di chi approfitta di essere fuori sede per percepire il reddito, ma così facendo sembra che si ignori la realtà del panorama giovanile italiano e le sue caratteristiche economiche e sociali.
Il dubbio che nasce è che si sia pensato di contenere la platea dei beneficiari, e quindi i costi, scaricando sui nuclei famigliari l'onere del sostegno ai giovani esclusi dal mercato del lavoro. Questo a costo pieno delle famiglie nel caso abbiano un reddito superiore ai 9360 euro e a costo parziale nel caso percepiscano il reddito di cittadinanza.
Infatti sappiamo che il reddito complessivo di un nucleo famigliare composto da più persone adulte (sopra i 18 anni) non è il semplice moltiplicarsi di 780 per il numero delle persone ma corrisponde alla cifra intera più il 40% della quota di reddito escluso l'affitto (quindi al massimo 200 euro), con la quota dell'affitto che resta invariata. Per una famiglia che percepisce il reddito di cittadinanza la presenza di un giovane maggiorenne continua a determinare un grande peso per i bilanci famigliari riducendo le possibilità dell'intero nucleo famigliare di superare le criticità.
A tutto questo si potrebbe obiettare sostenendo che non è giusto che un giovane di una famiglia con un Isee superiore alla soglia necessaria per accedere al reddito di cittadinanza debba percepirlo, basta la famiglia a supportarlo. Se è così lo si dica chiaramente, e lo si dica a quelle centinaia di migliaia di giovani che vivono la loro personale esclusione sociale ai quali si è promesso in moltissime occasioni che il reddito di cittadinanza sarebbe stata una risposta.