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Chi è Matteo Arpe, il banchiere che gestirà i rimborsi del Movimento 5 Stelle

19 Marzo 2019 - 14:43 Redazione
I rimborsi dei parlamentari del Movimento 5 Stelle saranno versati in un conto corrente aperto presso la Banca Profilo a Milano, controllata dal gruppo Sator, fondato e presieduto dal banchiere e finanziere Matteo Arpe, ex amministratore delegato di Capitalia e per anni considerato un vero e proprio enfant prodige della finanza

Un anno dopo l’inchiesta de Le Iene che svelò la Rimborsopoli del Movimento 5 Stelle e tutti i sistemi utilizzati da alcuni parlamentari pentastellati per non versare effettivamente le eccedenze di stipendio al fondo per il micro-credito istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Luigi Di Maio è corso ai ripari. Il capo politico del M5S ha aperto un nuovo conto bancario privato collegato al Comitato per le rendicontazioni e i rimborsi del Movimento 5 Stelle fondato lo scorso 7 agosto da Di Maio stesso e dai capigruppo Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli e creato allo scopo di «curare attivamente l’organizzazione, l’amministrazione, il coordinamento, la disciplina, la rendicontazione e la gestione delle restituzioni degli stipendi e dei rimborsi».

È stato aperto un conto presso Banca Profilo

In sostanza, per poter tracciare e controllare gli effettivi versamenti eseguiti dai vari parlamentari 5 Stelle, il Movimento 5 Stelle ha dunque deciso di non affidarsi più ai conti del Mef e della Protezione Civile ma di aprirne uno proprio. Singolare appare l’istituto bancario scelto dal Movimento 5 Stelle per creare questo nuovo conto. Secondo quanto svelato dall’agenzia di stampa Adnkronos, i rimborsi dei parlamentari del Movimento 5 Stelle saranno versati in un conto corrente aperto presso la Banca Profilo a Milano. L’istituto bancario milanese è controllato dal fondo Sator presieduto dal banchiere e finanziere Matteo Arpe, ex amministratore delegato di Capitalia e per un certo numero di anni considerato un vero e proprio enfant prodige della finanza internazionale.

Come racconta Huffington Post, «questa non è l’unica occasione in cui le strade del Movimento 5 Stelle e di Banca Profilo si intrecciano. In vista delle prossime elezioni europee, per la raccolta fondi del Comitato M5S per le elezioni europee (guidato da Pietro Dettori, fedelissimo di Davide Casaleggio) il Movimento usufruirà dei servizi dell’app Tinaba (acronimo di This is not a bank, ‘questa non è una banca’), piattaforma per i pagamenti digitali e il risparmio gestito frutto di una partnership con Banca Profilo, appunto». Matteo Arpe, inoltre, nel 2007, durante lo spettacolo Reset di Beppe Grillo, venne definito dallo stesso comico genovese e fondatore del M5S «uno dei pochi banchieri stimati nel mondo finanziario internazionale».

Chi è Matteo Arpe, ex ad di Capitalia

Matteo Arpe, ex ad di Capitalia, è conosciuto soprattutto per essere stato il protagonista di un duro scontro con l’allora presidente di Capitalia Cesare Geronzi. Nel 2006, per evitare la fusione con Banca Intesa, Arpe acquistò sul mercato il 2% di Capitalia, andando di fatto a impedire una possibile scalata alla banca. Fu proprio questa mossa a far deflagrare lo scontro con Cesare Geronzi, che nel febbraio 2007 cercò di sfiduciarlo in Cda senza però riuscirci. La fusione fra Capitalia e UniCredito Italiano avvenne poi nel maggio del 2007 e portò Arpe a dare le dimissioni da amministratore delegato del gruppo Capitalia e a fondare successivamente la Sator. Nel luglio 2007 Arpe venne rinviato a giudizio assieme a Cesare Geronzi, in qualità di manager di alto rango del gruppo Capitalia, nell’ambito del procedimento per il crac della Parmalat per la vicenda dell’acquisto dell’azienda Acque Ciappazzi di proprietà di Giuseppe Ciarrapico da parte dell’ex patron del gruppo caseario Calisto Tanzi.

Come ricorda la Repubblica, «dal procedimento è emerso che se Tanzi non avesse comprato la dissestata società del gruppo Ciarrapico, anch’essa finanziata da Banca di Roma, non avrebbe più ottenuto credito da Geronzi». Il 29 novembre 2011 il Tribunale di Parma lo condannò a 3 anni e 7 mesi per bancarotta fraudolenta, condanna confermata qualche anno dopo dalla Corte d’assise d’appello di Bologna. Con la sentenza n. 52613, la Cassazione sollevò dubbi sui 10 anni di inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e di incapacità a esercitare gli uffici direttivi presso ogni impresa inflitti ad Arpe e Geronzi come pena accessoria per bancarotta. Dal 2017, con il sollevamento della questione di legittimità costituzionale da parte della Cassazione e il rinvio in Consulta, il processo pende ancora davanti alla Corte Costituzionale.

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