Mare Jonio, Mediterranea: «Chiediamo aiuto all’Italia, i libici non ci hanno indicato un porto in cui sbarcare»
La Mare Jonio, dell’Ong Mediterranea, è a Lampedusa ma i toni della crisi politica e umanitaria sono sempre più gravi. E coinvolgono sia le mosse di Roma, sia quelle delle autorità libiche.
Il Viminale fa sapere che il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha convocato esperti e forze di Polizia per valutare la situazione anche alla luce della direttiva emanata ieri sera per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale, lo stesso ministro e leader della Lega twitta che «i porti sono e rimarranno chiusi», la Guardia di Finanza è salita a bordo della Mare Jonio per un’ispezione.
La Libia invece accusa l’organizzazione umanitaria: «Hanno preso contatto dopo l’intervento e hanno sostenuto che i migranti erano in una condizione che necessitava un salvataggio» ma «ciò é scorretto», è l’accusa dell’ammiraglio Ayob Amr Ghasem.
Abbiamo chiesto ad Alessandra Sciurba, a capo del team legale di Mediterranea Saving Humans e diretta proprio a Lampedusa, qual è la situazione sulla nave, dove – oltre al team della ong – ci sono 49 persone salvate, di cui 12 minori. In mattinata è stato evacuato uno dei migranti: si tratta di un 25enne malato di polmonite.
Sciurba, che clima si respira a bordo della Mare Jonio?
«L’ispezione della Guardia di Finanza è finita, il verbale ci è stato consegnato. C’è scritto ‘nulla da rilevare’. L’ispezione si è svolta in modi pacati e si è conclusa nel modo per noi più sereno possibile. Nel verbale, la Gdf ha riportato le condizioni delle persone a bordo: non c’è nessuno a rischio di vita ma le persone sono molto provate da due giorni di mare, dal fatto che il mare anche adesso si sta gonfiando – per quanto siamo ancorati nel punto di fondo indicato dalle autorità italiane a 300 metri a sud di Lampedusa. È una situazione difficile, per delle persone che hanno affrontato quello che hanno passato loro. Noi ce la stiamo mettendo tutta per normalizzare le cose. I rapporti con i nostri ospiti sono positivi, anche se sono spaesati. E siamo tornati a chiedere, molto serenamente, l’indicazione del porto di sbarco all’Italia, che è la sola giuridicamente competente a fornirlo».
Cosa ne pensa della direttiva del ministero dell’Interno?
«Mi piacerebbe vivere in un paese in cui le energie vengono spese per evitare naufragi – come quello appena accaduto al largo della Libia – invece di dedicarsi a chi quelle vite cerca di soccorrerle rispettandone la dignità. Bisognerebbe spiegare a questo governo che nessuna direttiva interna è sovraordinata alle convenzioni internazionali e nemmeno al diritto della navigazione italiana. Peraltro si fa un uso, nella direttiva, un po’ fantasioso del diritto internazionale: si prendono dei pezzi e se ne trascurano altri, per esempio quello che dice in maniera molto chiara che un porto sicuro è un porto dove i diritti vengono rispettati. E la Libia non lo è, e non c’è bisogno di essere fini giuristi per capirlo: basta andarsi a guardare i video. Se c’è qualcuno che sta facendo propaganda politica sulla pelle delle persone, mettendo a rischio la tenuta del nostro stato di diritto, non sono le navi e la società civile».
Ansa|Alessandra Sciurba (a sinistra)
La procura di Agrigento sta valutando il caso.
«Ci auguriamo che le procure competenti valutino il caso, sì. Ricordo che tutte le volte che le procure hanno preso in mano casi simili, non hanno potuto fare altro che constatare la correttezza delle procedure legali seguite dalle navi della società civile. Siamo dentro un quadro giuridico certo, quindi siamo ben contenti se le istituzioni competenti si muovono dentro lo stesso quadro giuridico. E siamo in fiduciosa attesa di un porto di sbarco, anche perché non c’è nessun provvedimento, ad oggi, che lo impedisce».
Cos’è successo durante il soccorso? Che contatti ci sono stati con la guardia costiera libica? Luigi Di Maio ha detto che avreste agito contro gli ordini dei libici.
«Posso smentire. L’unico contatto avuto con la cosiddetta guardia costiera libica è stato quando ci hanno chiesto, ore prima, di tenerci distanti da un punto preciso. L’Italia ci ha fatto pervenire un messaggio dei libici dove chiedevano di stare lontani da coordinate molto diverse da quelle dove è accaduto poi il nostro soccorso. Coordinate da cui ci siamo tenuti assolutamente distanti. Durante il soccorso, noi abbiamo comunicato all’Italia, con in copia tutti gli altri paesi della zona, che avevamo incrociato questo gommone in avaria e che stavamo intervenendo. La Guardia Costiera libica è arrivata in un secondo momento, noi avevamo già le persone sul gommone di salvataggio. Si è tenuta lontana e con loro abbiamo avuto solo comunicazione verbale via radio: ci è stato chiesto se fosse tutto a posto e niente altro».
Quindi non avete avuto ordini dai libici?
«Non abbiamo mai ricevuto nessun ordine dai libici, in tutta la nostra missione. E poi anche qualora funzionasse il loro centro di coordinamento, e se avessero una guardia costiera considerabile come tale, ci sarebbe il problema che la Libia non è un porto sicuro, e chi porta indietro le persone soccorse commette un gravissimo crimine. Non è mai successo che i libici abbiano preso il coordinamento di un evento Sar indicando un porto di sbarco. Poi appunto, anche fosse successo, il nostro comandante, nel riportare le persone in Libia, sarebbe finito sotto processo per un reato gravissimo».
Foto di copertina Elio Desiderio/Ansa | Navi della guardia di finanza e del porto di fronte alla Nave Jonio, a poche miglia a sud di Lampedusa.