Carlo Calenda e il non manifesto del Congresso della famiglia di Verona
Su Open abbiamo trattato con ben due articoli ilpresunto manifesto del Congresso della famiglia diVerona, spiegando primaperchénon è stato ideato dagli organizzatori e in seguito riportando la nuova versione degli ideatori con le loro spiegazioni. Il giorno dopo il nostro secondo intervento, il 22 marzo 2019, Carlo Calenda si rende conto della sua esistenza e decide di condividerlovia Twitter senza spiegare agli utenti di cosa si tratti, scatenando le proteste:«Un programma che è tutto un programma. Discriminazione, sottomissione delle donne, limitazione dei diritti e delle libertà per tutti. Altro che patrocinio ospitare questo congresso è già una vergogna nazionale». Il fatto è che quello non è il programma del Congresso veronese.
A nulla sono serviti i tweet di risposta degli utenti con il nostro articolo del 19 marzo 2019. Da Calenda non sono arrivate scuse, né spiegazioni. Un silenzio tombale, come succede a volte con molti altri utenti che condividono contenuti errati o che si vergognano cancellando lecondivisioni o facendo finta di nulla. Estrapolando una frase da un suo tweet del 2017 – «non si combattono fake news con fake slogan, ma con un pensiero lungo e articolato che tiene conto di una realtà complessa e un futuro pieno di sfide difficili» -Calendaavrebbe potuto riportareelementi più facilmente verificabili anziché puntare su manifesti mal compresi e poi riproposti più correttamente – non da lui – in seguito.
Con questo suo intervento, Calenda si è posto nella condizione di essere criticato dagli utenti. Anche Giorgia Meloni lo attaccaconun tweet del 23 marzo -«Volete un bell'esempio di #fakenews, di bufala da 4 soldi tipo le foto dei gattini imbottigliati? Ecco a voi il campione del pensiero sinistrorso Carlo Calenda pubblicare un falso manifesto del congresso delle famiglie #wcfverona e commentarlo come fosse vero. Che squallore» -ma anche lei non spiega agli utenti di che cosa si tratta.
Che non scorra buon sangue tra i due, Carlo Calenda e Giorgia Meloni, è evidente dal loro recente scambio via Twitterdove lui la definisce «versione burina del KKK» ottenendo un«cafone»per averla definita «burina» senza accennare il «KKK». Entrambi dovrebbero stare attenti a come usano i social, sia per le loro condivisioni che per i loro interventi.