«Pippi Calzelunghe» in persiano? Polemiche in Svezia per uno spot televisivo
Piovono polemiche sullo spot televisivo della catena svedese di grandi magazzini Ahlens. Nel video, privo di sottotitoli, si vede un papà che legge alla propria figlia la tradizionale favola svedese «Pippi Calzelunghe» in persiano, anziché in lingua originale. Questa scelta linguistica ha fatto sì che si scatenassero i commenti contro l’azienda, accusata di «essersi spinta troppo in là» e di non aver così rispettato la cultura svedese.
https://www.facebook.com/ahlens/videos/2744002802492121/?v=2744002802492121
I commenti pro e contro allo spot
Molti i commenti dove si ricalcava il fatto che l’attore nello spot avrebbe dovuto leggere la favola in svedese e non nella propria lingua madre. Altri hanno fatto leva sul fatto che se il messaggio di Ahlens volesse esser quello dell’integrazione, avrebbe dovuto far raccontare la storia sì da un rifugiato, ma in lingua svedese, per rispetto al luogo che ha dato ospitalità a lui e alla sua famiglia. Dall’altro lato son stati molteplici i commenti in difesa dello spot e dell’azienda: non è raro che in Svezia vengano trasmessi spot in inglese, quindi non si comprende quale sia il problema nell’uso di una lingua straniera.
La risposta dell'azienda agli insulti
«Vi invitiamo a mantenere un tono appropriato e un linguaggio educato su questa pagina Facebook. Rigettiamo gli insulti verso le persone di altri Paesi, di altre opinioni e religione. Ci riserviamo il diritto di rimuovere i commenti offensivi, cosa che abbiamo fatto anche in questo thread. Cordialmente, Ahléns». La catena di grandi magazzini, in risposta ai numerosi insulti ricevuti sulla propria pagina di Facebook, ha richiamato gli utenti, invitandoli ad usare toni appropriati, annunciando l'eliminazione di commenti offensivi e razzisti.
Le precedenti accuse rivolte alla catena di grandi magazzini
Non è la prima volta che i magazzini Ahlens vengono accusati di voltare le spalle agli svedesi, alla loro cultura e alle tradizioni del Paese scandinavo. In precedenti frangenti l’azienda finì sotto accusa per l’utilizzo – in una pagina del proprio catalogo – di bambini di etnie differenti. In un secondo caso l’azienda finì nel vortice delle polemiche per aver usato come testimonial una donna con lo hijab, uno dei veli utilizzati nella tradizione islamica dalle donne. Nel 2013 invece l'azienda finì sotto accusa per razzismo, rea di aver inserito nel catalogo due figure nere create con delle perline.