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Quelle coppie che per Fontana non esistono: viaggio nelle unioni civili italiane

27 Marzo 2019 - 22:34 Felice Florio
Tre racconti di come la legge 76 del 20 maggio 2016 ha cambiato la vita delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Tra funzionari comunali che non si raccapezzano e scenate divertenti con i parenti, ecco come la giurisprudenza si è messa (quasi) in pari con la vita reale

Quasi tre anni fa, la vita delle famiglie è cambiata per sempre. Almeno per alcune: tutte le coppie omosessuali, grazie alle legge Cirinnà del 20 maggio 2016, hanno potuto godere di molti diritti (e doveri) che in Italia erano garantiti solo per i matrimoni tra uomini e donne.

Dalle scelte più dure in caso di sopraggiunta incapacità, alla successione se un coniuge viene a mancare: in Italia l’eterosessualità non è più vincolante per vedere applicati i codici giuridici che regolano la vita famigliare. E torna necessario parlarne oggi, mentre a Verona si sta per svolgere il discusso Congresso Mondiale della Famiglia.

I primi di Roma

Daniele e Christian si sono messi insieme nel 2007. Nel 2016 sono stati tra i primi a chiedere in Comune a Roma di unirsi civilmente appena dopo l’approvazione della legge Cirinnà. «Quando non eravamo ancora sposati, Daniele ha avuto un brutto incidente», racconta Christian. «In ospedale ho avuto problemi per stargli vicino. Ora che siamo uniti civilmente non accadrebbe».

Unioni civili in numeri

Secondo i dati dell’Istat, considerando sia le unioni civili costituite in Italia sia le trascrizioni di unioni costituite all’estero, al 1° gennaio 2018 le persone residenti unite civilmente sono circa 13,3 mila (0,02% della popolazione), di sesso maschile nel 68,3% dei casi. I numeri sono sbilanciati verso il Nord (56,8%) e il Centro (31,5%). Pochissime le unioni civili in Molise (3), Basilicata (6) e Calabria (24).

Un’unione su quattro si è celebrata tra Roma (845), 799 sono state le unioni celebrate a Milano mentre 378 a Torino: il dato fornisce un’ulteriore fotografia della differenza tra province e grandi città italiane. Le persone che hanno fatto ricorso a questo istituto giuridico hanno un’età media di 49,5 anni se maschi e di 45,9 anni se femmine. Il 68,3% delle coppie è composta da uomini.

«C’erano 70 invitati al matrimonio. A Londra»

Federico, 37 anni, e Cristian, 45 anni. Vivono nell’hinterland milanese, a Paderno, e dal 2017 sono registrati in Comune nella lista delle unioni civili: «Ci hanno messo quasi un anno, i funzionari non capivano bene come mettere in pratica la legge Cirinnà», raccontano oggi. Nel 2010 si erano sposati a Londra, dove Federico va spesso per lavoro: «È stato proprio un matrimonio all’italiana, c’erano più di 70 invitati e abbiamo fatto la cerimonia nel teatro di Shakespeare».

Dopo sette anni, invece che la crisi – come luogo comune vorrebbe – grazie alla legge sulle unioni civili e dopo che il Comune di Paderno è venuto a capo della burocrazia e ha capito come convertire gli atti londinesi, è arrivato uno dei momenti più belli: «Con il riconoscimento, le aziende dove lavoriamo io e Cristian ci hanno dato il congedo matrimoniale e siamo potuti partire in viaggio di nozze. Sembra banale, ma attraverso queste piccole cose i diritti prendono vita nella società».

I punti chiave della legge

Due persone maggiorenni e dello stesso sesso, per costituirsi in unione civile, devono aver compiuto i 18 anni di età e devono registrarsi nell’archivio dello stato civile in presenza di un pubblico ufficiale e di due testimoni. Negli atti vanno indicati i dati anagrafici dei membri della coppia, il regime patrimoniale e la residenza. Dopodiché, ecco i principali diritti e doveri che si acquisiscono dopo la registrazione:

  • Obbligo reciproco di assistenza morale, materiale e coabitazione;
  • A differenza del matrimonio, non c’è l’obbligo di fedeltà e per le adozioni dovrà esprimersi la magistratura su ogni singolo caso;
  • Per la durata dell’unione, i membri della coppia possono assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro – nel matrimonio, la donna deve (ancora) aggiungere al suo il cognome dell’uomo (anche se non viene aggiunto sulla carta d’identità);
  • Le due persone concordano la residenza comune e possono avvalersi o meno della comunione dei beni;
  • Pensione di reversibilità e Tfr (trattamento di fine rapporto) maturato vanno di diritto all’altro partner. Nel caso di successione, come per il matrimonio, al compagno superstite spetta la cosiddetta “legittima”, cioè il 50% dell’eredità;
  • In caso di morte del proprietario della casa dove si è risieduti insieme, il convivente superstite ha diritto ad abitarci per una durata di tempo variabile tra i 2 e i 5 anni;
  • I conviventi hanno gli stessi diritti previsti dall’ordinamento penitenziario, e in caso di malattia grave o di morte (celebrazione funerale, donazione organi);
  • In caso di separazione, il magistrato stabilisce il diritto di ricevere gli alimenti qualora un membro della coppia ne abbia bisogno, in proporzione alla durata della convivenza (è successo pochi giorni fa a Pordenone);
  • Lo scioglimento dell’unione avviene in maniera più veloce rispetto al matrimonio: bastano, come per il divorzio breve, tre mesi di separazione anziché sei.

Nozze portoghesi

Rosario e Gianni stanno insieme dal 1984. Nel 2014, per coronare il loro amore e 30 anni di convivenza, hanno deciso di sposarsi. Lo hanno fatto in Portogallo, perché allora, in Italia, non era possibile. Poi, con la legge Cirinnà nel 2016 hanno potuto vedersi riconoscere automaticamente la loro unione anche a Roma. Sono tra le 16 coppie il cui matrimonio celebrato all’estero era stato registrato a ottobre a Roma dall’allora sindaco Ignazio Marino, scatenando le ire del ministro Angelino Alfano e della Conferenza episcopale italiana.

Restano dei fronti aperti. A partire da quello dell’adozione, che, per le associazioni, è il grande vulnus della legga Cirinnà. «Noi vorremmo adottare», racconta Daniele a Roma. «Non abbiamo nulla contro la gestazione per altri, ma ci piacerebbe fare questo gesto. È possibile adottare fino al compimento della maggiore età, ma le coppie etero, dopo i tre anni, non adottano più. Ecco, non vedo perché è preferibile che un bambino stia in quelli che sono ancora a tutti gli effetti orfanotrofi invece che in una famiglia come la nostra».

«Ancora una volta hanno pagato i bambini», dice Rosario. «Io e Gianni non abbiamo figli, ma tanti sono i bimbi di coppie che conosciamo che sono rimasti senza diritti». Parlando delle famiglie arcobaleno, il ministro Lorenzo Fontana, protagonista del Congresso nella “sua” Verona, ha detto: «Perché, esistono?». «Fontana dice che noi non esistiamo», chiosa Christian. «Io penso che lui non sia un ministro della Famiglia. Esistiamo eccome, da tanto tempo. Tutte le persone che si amano sono famiglia».

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