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Salvini: «La Commissione europea ritiene la Libia un porto sicuro». Ma non è vero

Una portavoce della Commissione ha detto che «in Libia non ci sono condizioni di sicurezza e che tutte le imbarcazioni che battono bandiera Ue non hanno il permesso di sbarcare»

«Secondo la Commissione europea, la Libia può e deve soccorrere gli immigrati in mare e quindi è da considerare un Paese affidabile». Queste le parole di Matteo Salvini in riferimento ad alcune presunte affermazioni dell’organo dell’Unione europea.

Ma la risposta della Commissione non è tardata ad arrivare: «Abbiamo sempre detto che in Libia non ci sono condizioni di sicurezza. Tutte le imbarcazioni che battono bandiera Ue non hanno il permesso di sbarcare» sulle coste libiche.

Al momento non è chiaro dove Salvini e altri esponenti del Viminale abbiano preso le informazioni. «Gli immigrati che vengono riportati a terra dalla Guardia costiera sono tutelati dalla presenza del personale Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni» – avevano detto nella mattina del 29 marzo alcune fonti del Ministero.

Appoggiandosi a queste presunte voci, Matteo Salvini ha aggiornato la direttiva emanata da lui stesso in occasione dell’episodio relativo alla Ong Mediterranea Saving Humans, con cui aveva stabilito che la nave Mare Jonio non avrebbe dovuto intervenire nell’area di competenza libica.

In quell’occasione, la nave Mare Jonio si era diretta in soccorso di alcuni migranti nella zona Sar (Search and Rescue) della Libia. Con l’aggiornamento di oggi, 29 marzo, il ministero dell’Interno ha ribadito che la Libia è perfettamente legittimata a intervenire.

Il dibattito sulla sicurezza del Paese si è riacceso dopo il dirottamento del mercantile El Hiblu 1 da parte di 108 migranti che non avevano intenzione di tornare a Tripoli dopo essere stati salvati in mare.

La risposta dell’Ong Mediterranea

Mediterranea ha diffuso un comunicato in cui ha definito le affermazioni del Viminale degli «schiamazzi sulla Libia», volti a «distorcere la verità in nome della propaganda politica». La «vaga» affermazione della Commissione europea si riferirebbe all’autoassegnazione della Libia di una propria zona Sar – ritenuta molto controversa fin dagli inizi.

Secondo l’Ong italiana, quanto riportato dal Viminale «contrasta con la chiarissima affermazione della portavoce della Commissione europea per la migrazione, Natasha Bertaud, che solo pochi mesi fa dichiarava senza mezzi termini che “non ci saranno mai dei rimpatri dell’Ue verso la Libia o navi europee che rimandano i migranti in Libia. Questo è contro i nostri valori, il diritto internazionale e quello europeo. Siamo ben al corrente della situazione inumana per molti migranti in Libia”».

Come funziona la zona Sar

Per zone Sar si intendono le aree di Search and Rescue, in italiano Ricerca e Salvataggio, istituite con l’accordo del 1979, noto con il nome di Convenzione di Amburgo. Ogni paese può attribuirsi una zona Sar in accordo con L’IMO, l’Organizzazione Marittima Internazionale delle Nazioni Unite.

Durante la Conferenza IMO di Valencia del 1997, il Mar Mediterraneo è stato suddiviso tra i Paesi costieri: l’Italia sarebbe responsabile di circa un quinto del territorio marittimo (sui 500 chilometri quadrati).

Il caso della Libia

A giugno del 2017, Tripoli ha annunciato l’iscrizione nel registro dell’IMO di una propria area Sar. Facendo riferimento a un’affermazione della Commissione europea, il Viminale ha ricordato che «la Libia ha ratificato la Convenzione di Amburgo del 1979 e quindi rientra a pieno titolo nel piano globale Sar».

Come ricorda il comunicato dell’Ong – e come spesso si è dibattuto in questi mesi – appaiono alcune contraddizioni per quanto riguarda l’effettiva possibilità della Libia di autoproclamarsi zona sicura.

Mediterranea sottolinea «il paradosso di un Paese dal quale le ambasciate europee ordinano ai propri cittadini di allontanarsi per l’alta pericolosità, che gestisce 80 miglia di mare coordinando gli interventi sulle barche in difficoltà, pur non avendo alcun porto sicuro dove riportare i naufraghi».

La revoca di una zona di salvataggio può arrivare solo se un altro Stato si fa avanti per contestarne la validità: «Ci auguriamo infine che anche l’IMO, chiamato in causa dal Viminale, prenda ora posizione ribadendo che la Libia non è in alcun modo un porto sicuro», conclude la Ong.

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