Il giorno dell’omicidio di Stefano, Said Machaouat doveva essere in carcere
Non doveva essere sulle rive del Po, ma in prigione, l’uomo che ha ammesso di aver accoltellato Stefano Leo, il ragazzo ucciso a coltellate a Torino la mattina del 23 febbraio. Come racconta il Corriere della Sera, Said Machaouat, 27 anni, era stato condannato a un anno e sei mesi di reclusioneper maltrattamenti in famiglia. Nel maggio 2018, la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato da Machaouat. Secondo i giudici, era «troppo generico». L’avvocato del ragazzo non ha contestato la decisione e aquel punto la sentenza è diventata definitiva. Qualcosa, però, è andato storto a livello burocratico. Gli atti che avrebbero permesso di emettere un ordine di carcerazione non sarebberomai arrivati in Procura. La sentenza definitiva è rimasta bloccata in Corte d’Appello. «Ho già chiesto una relazione su questo fascicolo e voglio capire al più presto come sia potuta accadere una cosa del genere», ha affermatoil presidente della Corte d’Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, in un’intervista con il Corriere.
Anche il ministero della Giustizia ha deciso di indagare, inviando gli ispettori. Said aveva diversi precedenti, tra cui una rapina commessa quando era ancora minorenne, un’aggressione e una resistenza commesse a Milano tra il 2013 e il 2014. Nel processo per maltrattamenti, igiudici non gli hannoconcesso la sospensione condizionale della pena: ed è per questo che per lui si sarebbero dovute aprire le porte del carcere. Machaouat soffrivadi depressione ed era seguito dai servizi sociali. Il giorno dell’omicidio, si trovavaai Murazzi per caso, mentre vagava in preda alla disperazione dopo essere stato lasciato dalla moglie e aver persola possibilità di vedere i figli. Stefanosarebbe stato semplicemente la prima persona intercettata da un raptus omicida, ucciso perché «aveva un sorriso felice in faccia».