Salta l’accordo sui rimborsi ai truffati dalle banche. Di Maio contro Tria: «Pazienza finita»
«Non è in discussione il ruolo del ministro dell’Economia» dice Luigi Di Maio al termine del consiglio dei ministri. Ma un po’ sembra esserlo davvero, vista l’intensa settimana vissuta da Giovanni Tria, bersagliato dalle critiche del governo, soprattutto da parte del Movimento 5 Stelle.
Qualcosa è andato storto durante la riunione a Palazzo Chigi, se la soluzione tecnica che, ormai da mesi, il ministero dell’Economia stava cercando per dare il via libera ai decreti attuativi alla norma contenuta nella legge di Bilancio in favore dei risparmiatori truffati dalle banche è sfumata.
Le forti divisioni nel governo riguardano le modalità con cui erogare i fondi stanziati nella manovra. Il ministro dell’Economia Tria aveva chiesto una misura in linea con le indicazioni della Commissione europea e una nuova legge che modificasse la parte della legge di bilancio dedicata ai risparmiatori.
Il Movimento 5 Stelle vorrebbe un indennizzo diretto a tutti senza passare da arbitrati o mediazioni, ma non è chiaro se sarà mantenuta una distinzione tra chi è stato truffato e chi invece ha agito e investito consapevolmente.
Il partito di Salvini ha una posizione intermedia: risarcimenti automatici solo per una parte di azionisti e obbligazionisti. Tutto rimandato a lunedì quando Giuseppe Conte incontrerà le associazioni dei risparmiatori: un confronto ma anche un modo per prendere tempo in attesa di una soluzione.
Matteo Salvini aveva auspicato che la norma sui risparmiatori truffati dalle banche entrasse nel decreto Crescita, approvato il 4 aprile dopo più di quattro ore di seduta del Consiglio dei Ministri. Lo stesso aveva detto il presidente del Consiglio Conte.
«Siamo contenti che non sia entrata nessuna nessuna sui risparmiatori, non perché non siamo con loro, anzi noi vogliamo che ci siano indennizzi diretti», ha invece aggiunto Luigi Di Maio.
I due vice-premier indicano nella giornata di lunedì una scadenza perentoria. Ma gli slittamenti dei provvedimenti sono spesso parte dell’attività politica. «Ci sono troppi no e troppa lentezza», dicono i leghisti.