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I rom si difendono: «No agli stereotipi contro di noi: la nostra cultura non è fatta di delinquenza»

10 Aprile 2019 - 06:09 Angela Gennaro
Le proteste dilagano a Roma, nelle periferie di Torre Maura e di Casal Bruciato. Manifestazioni contrapposte e presidi di estrema destra, al grido di «i rom non li vogliamo». Ma cosa ne pensano i diretti interessati? 

Valentina ha 23 anni e studia Scienze dell'Educazione a Roma Tre. «Non parlo da rom ma da italiana che ama il proprio paese e che crede nella Costituzione come tanti altri italiani: credo nella democrazia». Sta per laurearsi con una tesi sulla scolarizzazione dei campi rom.

Valentina all'università

«Sono nata in un campo qui a Roma, quello di Tor di Valle. Ho origini bosniache, e credo fortemente nel mio paese, l'Italia, e nella democrazia, a prescindere dalle mie origini», dice a Open. «Gesti violenti e prepotenti come quelli di Torre Maura e di Casal Bruciato, nei confronti di qualsiasi persona, non sono accettabili».

I rom si difendono: «No agli stereotipi contro di noi: la nostra cultura non è fatta di delinquenza» foto 1

Oggi vive da sola, in una periferia come periferie sono quelle dei fatti che stanno facendo discutere nella Capitale. «Anche qui la situazione è di degrado immenso», dice Valentina. «Le persone sono arrabbiate deluse, vogliono rivendicare i loro diritti. Ma la rivendicazione non la fai contro 70 persone di origine rom che arrivano nel tuo quartiere. La fai andando a protestare con la politica che non rispetta determinati doveri: prendersela con 70 persone chiuse in un centro di accoglienza non risolverà i problemi: te la stai solo prendendo con gli ultimi degli ultimi». 

Samir l'operaio «de Roma»

Ma quella di Valentina non è l'unica storia di emancipazione riuscita. Samir, ad esempio, ha 32 anni e fa l'operaio. È «romano de Roma»: nato in Kosovo, vive in Italia da quando aveva sette mesi. «Lavoro da più di 15 anni e sono di origine rom: quindi non è assolutamente vero che i rom non si vogliono integrare e che non lavorano», sorride. «Sono uno dei tanti che sono riusciti autonomamente, senza pretendere né volere alcun assistenzialismo».

Per anni – e fino a poco tempo fa – ha vissuto nei campi. E ha lottato per uscirne.  «Certo, l'amministrazione dovrebbe favorire programmi di inclusione per permettere alle persone di formarsi e potersi formare. Non assistenzialismo ma scolarizzazione e percorsi», dice Samir.

I rom si difendono: «No agli stereotipi contro di noi: la nostra cultura non è fatta di delinquenza» foto 2

Samir Alija, 32 anni, operaio. È nato in Kosovo, vive in Italia da quando aveva sette mesi

«Fino a pochi mesi fa abitavo nel campo di Salone, ci ho vissuto per 13 anni. L'unica soluzione che ho visto trovare alle varie amministrazioni è stata quella di trasferire le famiglie rom da una parte all'altra: prima dalle baraccopoli a campi attrezzati, poi da un campo attrezzato all'altro. Mai si è arrivati a progredire e a superare i campi».

La progressione, per chi non si può permettere una casa a prezzi di mercato, è quella dell'alloggio popolare. Samir pensa ai fatti di questi giorni a Casal Bruciato: un'abitazione occupata illegalmente da una giovane italiana con sua figlia, assegnata di diritto a una famiglia rom che ora, a causa delle proteste, è stata costretta a trasferirsi altrove. "No, i rom no", dice chi protesta.

I fatti di Casal Bruciato

I due ragazzi rom, Samir e Valentina, pur con storie diverse. Su quel che sta accadendo nelle periferie romane hanno la medesima posizione. 

«Se la casa è stata affidata legittimamente e quella famiglia ha partecipato a una graduatoria? È la legge», dice Samir. «Non è che i cittadini parlando con la pancia e non con la testa possono decidere all'improvviso che qualcuno che ha diritto per legge non sta loro bene».

I rom si difendono: «No agli stereotipi contro di noi: la nostra cultura non è fatta di delinquenza» foto 4

Ansa |Una manifestazione di CasaPound a Casal Bruciato nell'autunno 2018

Una casa «assegnata in base a dei criteri e a liste d'attesa di anni», dice Valentina. «E si sono trovati davanti il presidio di CasaPound. Ma non esiste proprio!»

Come se ci fosse una certa voglia di spazzare via le regole democratiche. «Una politica come quella di Salvini giustifica tutto questo», dice Valentina. «Prima le persone si tenevano dentro il disagio. Ora che c'è Salvini che fomenta gli animi dicendo quello che dice, le persone arrivano a queste rivendicazioni in modo violento e non giustificabile. Ma non si risolve nulla bruciando le macchine, i cassonetti, buttando a terra il pane. Si crea solo un clima violento». 

Il problema «è che negli ultimi decenni per le persone che sono di origine rom i diritti non sono stati applicati», dice Samir. «Pur di uscire dal campo, me ne sono andato in affitto. Ma tantissimi non hanno la possibilità di trovare un lavoro: per pregiudizi e stereotipi». Chi è di orgine rom, per Samir, «se vuole fare il suoi dovere non ottiene quelli che sarebbero i suoi diritti. Il diritto di manifestare è di tutti, mentre calpestare il pane in mezzo alla strada – pane destinato a dei bambini – è proprio disumano». 

Samir Alija

L'associazionismo 

Sia Valentina che Samir sono degli attivisti per i diritti umani. Valentina con Kethane – Insieme rom e sinti per l'Italia. Samir è il presidente dell'Associazione New Romalen ed è portavoce della comunità Rom in Italia. «La responsabilità penale è personale, non di tutta la tua comunità», dice il 32enne.

Che rigetta lo stereotipo e ogni sua eventuale giustificazione. «I rom vivono, in periferia, degrado nel degrado», dice. «Lo stereotipo si fonda su un'informazione profondamente sbagliata. Posso raccontarti tanti episodi che ho vissuto io stesso, fin da quando ero piccolo. Andavo a scuola, e quando saltava fuori che venivo dal campo rom di Casilino '900 mi prendevano in giro, mi dicevano che puzzavo… Anche se ero molto più pulito ed educato di altri», dice Samir.  

«Si dà la notizia del ladro in metropolitana, ma ci sono tante persone che lavorano e che si stanno non dico 'integrando' – non uso mai la parola 'integrazione' – ma hanno insomma storie personali ben diverse», aggiunge Valentina. Non sono tante le persone rom che, come lei, frequentano l'università, spiega. 

«Anzi, è già difficile arrivare al liceo», chiosa. «E invece bisognerebbe dare le stesse possibilità a tutti. Non è che il delinquente rom delinque per cultura». Certo, «come nelle periferie si crea delinquenza, lo stesso accade in un campo completamente isolato dalla città», spiega la studentessa. «È la cultura della povertà: tu prendi dall'ambiente e l'ambiente prende da te».

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Ansa |Lo sgombero di un campo rom a Roma nel 2015

È quello che ha scoperto studiando la scolarizzazione, e la scolarizzazione nei campi rom, racconta: «A Roma ci sono stati casi di scolarizzazione altissima e veramente riuscita», dice la 23enne. Accadeva in periferia, nel campo attrezzato del Camping River.

Il caso dei campi sgomberati

Un campo che è stato sgomberato – l'unico effettivamente chiuso, a oggi, dall'amministrazione di Virginia Raggi che pure aveva annunciato il superamento dei campi rom – a luglio dello scorso anno. «Eppure quel campo funzionava, aveva uno dei più alti tassi di scolarizzazione tra i campi di Roma», dice Valentina. «I bambini andavano a scuola, i progetti funzionavano. Ora tutto quel patrimonio è stato disperso».

Lo stesso era accaduto a Tor de Cenci, racconta, «dove erano i genitori stessi ad accompagnare i figli a scuola. Facevano parte di un quartiere e fare parte di un quartiere migliora tutto». Tor de Cenci è poi stato sgomberato, «e tutti quei percorsi sono andati dispersi». 

Foto di copertina Claudio Peri/Ansa | La protesta a Casal Bruciato, Roma.

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